# 3 / 2020
20.07.2020

Via le mani da un fondo sovrano

Perché la Banca nazionale non può essere il guardiano di un fondo sovrano

Dopo l’abbandono del tasso minimo di cambio da parte della BNS, uno degli argomenti ricorrenti è stata la crescita sostenuta del suo bilancio, che renderebbe difficile proseguire su questa via. La creazione di un fondo sovrano potrebbe non solo sgravare il bilancio e così la Banca nazionale, ma anche generare nuovi redditi. Con l’acquisto di ulteriori divise a favore del fondo sovrano, la BNS contribuirebbe a indebolire il franco svizzero.

Un fondo sovrano nuocerebbe all’indipendenza della BNS

È chiaro che poco importa che le riserve della BNS appaiano direttamente nel suo bilancio contabile o siano “trasferite” a un fondo sovrano separato. Il fondo sarebbe infatti semplicemente un debito verso la Banca nazionale che lo inserirebbe dunque all’attivo e il bilancio dunque non cambierebbe. Oltre alla vendita delle riserve, il solo mezzo con il quale la BNS può ridurre il proprio bilancio sono delle perdite (ad esempio attraverso la distribuzione ai Cantoni).

Se un fondo sovrano presso la Banca nazionale fosse retto da regole d’investimento (politiche, qualunque esse siano), la sua creazione comporterebbe di fatto un’ingerenza nella politica d’investimento e, pertanto, nell’indipendenza della BNS in materia di politica monetaria. Garantita dalla Costituzione, quest’ultima non è fine a sé stessa. Per potersi imporre con credibilità sui mercati finanziari allo scopo di garantire la stabilità dei prezzi e ammortizzare gli choc monetari o macroeconomici, gli attori del mercato devono essere sicuri e nessuna ingerenza politica deve indebolire la BNS, anche se le misure sono impopolari. Dare un segnale contrario rischierebbe di colpire gravemente la capacità d’azione della BNS e di nuocere durevolmente alla sua reputazione e alla sua capacità di agire. La ricerca in materia di storia economica mostra chiaramente che l’indipendenza della Banca nazionale è di gran lunga il criterio di successo principale, quando si tende alla stabilità dei prezzi.

Lo stesso vale per l’esigenza d’investimenti strategici da parte della BNS. Una banca centrale indipendente non può essere l’investitore dominante di un’impresa isolata né esporsi al sospetto di perseguire, mediante i suoi investimenti, degli obiettivi politici diversi dal mantenimento della stabilità dei prezzi. Soltanto una vasta diversificazione garantisce che la BNS sia, conformemente al suo mandato, vista come attore sovrano, neutra nei confronti del mercato ed esclusivamente dedicata agli obiettivi di politica monetaria. E, anche se ciò svolge solo un ruolo secondario, a lungo termine solo una strategia d’investimento ampia promette di generare i migliori rendimenti.

La BNS non ha la missione prioritaria la realizzazione di utili

Circa il 20% delle riserve di divise della BNS sono attualmente investite in azioni e il 69% in obbligazioni di Stato. Questa strategia d’investimento della BNS (quota di azioni relativamente bassa e quota importante di obbligazioni di Stato) ma anche la strategia di gestione passiva del suo portafoglio d’azioni (quest’ultimo riflette semplicemente le variazioni d’indici borsistici) contribuiscono probabilmente a spiegare le simpatie che suscitano gli appelli a privare la BNS di una parte delle sue riserve di divise per creare un fondo sovrano.

La vendita di azioni è uno strumento importante della politica monetaria. Essa permette alla BNS di ridurre la liquidità sul mercato. Fa così parte della politica basata sulla stabilità perseguita dalla banca centrale conformemente al suo mandato legale. Se vengono realizzati degli utili, si tratta di un effetto secondario rallegrante, ma che gioca tuttalpiù un ruolo secondario. Se la politica monetaria lo richiede, le riserve di divise devono poter essere vendute nel momento più opportuno. Le obbligazioni di Stato sono più facili da liquidare delle azioni. Esse trovano degli acquirenti abbastanza facilmente. I loro corsi sono meno volatili. Questa proprietà (propria dei titoli obbligazionari in generale) facilita la gestione della massa monetaria. Si obietta sovente che la BNS dispone anche di un altro mezzo per ridurre la massa monetaria se necessario, ossia l’emissione di titoli di credito propri (denominati “buoni della BNS”). Ciò corrisponde al vero, ma questa strategia è rischiosa. L’emissione di buoni della BNS comporta delle spese e la BNS remunera questi titoli con un tasso il cui livello è influenzato proprio da essa. Le decisioni in questo settore potrebbero scontrarsi con gli obiettivi della politica monetaria. Ad ogni modo, le suddette spese possono essere superiori agli eventuali ricavi supplementari che risulterebbero, ad esempio, grazie ad un aumento della quota di azioni nel portafoglio.

La strategia d’investimento della BNS è veramente così sbagliata?

È lecito avere diverse opinioni sulle strategie d’investimento della BNS, anche se si riconosce l’obiettivo primario della stabilità nella politica perseguita dalla banca centrale. La strategia d’investimento attuale della BNS è fondata su ragioni solide, anche se l’ottenimento di un rendimento non costituisce uno scopo prioritario della BNS. L’idea che la quota delle riserve di divise della BNS investite in azioni sarebbe troppo bassa (come si potrebbe pensare di primo acchito) dev’essere relativizzata alla luce della teoria della gestione del portafoglio. La causa è che gli investitori considerano il franco svizzero come una moneta rifugio. Questo spiega in parte la forza attuale della moneta elvetica e ha più generalmente per effetto che, dal punto di vista dell’investitore svizzero (come lo è la BNS), i tassi di cambio e i mercati azionari esteri tendono ad evolvere nella stessa direzione (prociclicità). Quando le monete straniere si svalutano rispetto al franco svizzero, anche il valore delle azioni straniere ha tendenza a diminuire. La figura 3, che paragona il rendimento trimestrale dei mercati azionari europei e la variazione relativa del corso di cambio CHF/EURO, illustra questa correlazione. Capita così spesso che una diminuzione del valore delle azioni nelle borse europee sia accompagnata da una svalutazione dell’euro rispetto al franco svizzero. In questo scenario, l’investitore svizzero subisce una doppia perdita: una perdita (in euro) dovuta alla diminuzione del corso delle azioni e una perdita di cambio legata alla svalutazione dell’euro rispetto al franco svizzero (se vende le sue azioni). Questo fenomeno riduce il potenziale di diversificazione che rappresentano gli investimenti in azioni. Trattandosi degli investimenti puramente esteri, è dunque opportuno – come fa la BNS – avere in portafoglio una quota di azioni relativamente bassa e una quota relativamente importante di obbligazioni statali (questi ultimi con un comportamento anticiclico).

La stampa di moneta non crea valore reale

Il trasferimento di una parte delle riserve di divise della BNS verso un fondo sovrano non toccherebbe il corso del franco svizzero, poiché le riserve in questione sono già investite all’estero. Per indebolire il franco svizzero, la BNS dovrebbe dunque in tutti i casi acquistare delle divise – anche se queste ultime dovessero in seguito essere trasferite verso il fondo sovrano – indipendentemente dalla strategia d’investimento.

L’acquisto di divise è una decisione di politica monetaria di esclusiva competenza della BNS. Se non se ne tiene conto, bisogna almeno evitare un errore d’interpretazione correntemente commesso circa le conseguenze dei suoi interventi sul mercato dei cambi. L’idea che l’acquisto di divise estere da parte della BNS, stampando banconote, permetterebbe per così dire di creare del valore reale (indebolendo nel contempo il franco svizzero) non tiene conto del modo con cui funzionano le divise in contanti. Gli investimenti eseguiti dalla BNS in divise estere possono avvenire solo al valore nominale; essi hanno un prezzo che è sopportato dalle persone che detengono (nominalmente) degli averi in franchi svizzeri. Mentre il fondo sovrano norvegese è collegato ad attivi reali come le materie prime, questo non sarebbe il caso per la BNS. È impossibile per una banca centrale creare del valore reale stampando carta. La stampa delle banconote non fa altro che ampliare il bilancio. L'acquisto di divise aumenta le disponibilità in valuta estera della BNS sul lato dell'attivo, ma aumenta anche il lato del passivo e quindi le passività della BNS. L'acquisto di valuta estera non aumenta il capitale proprio della banca centrale.

A lungo termine, la stampa delle banconote può anche ridurre il valore di una singola banconota. Questo può condurre all’inflazione: l’importo nominale necessario per l’acquisto di un determinato bene aumenta. Finora l'inflazione sotto forma di aumento dei prezzi al consumo non si è verificata. Tuttavia, i risparmiatori sono stati tassati dall'inflazione: i prezzi degli attivi sono aumentati notevolmente. Dal punto di vista di un potenziale investitore, questo tipo di inflazione è altrettanto cruciale. Infine, rimane valida una vecchia massima economica: non si può creare un valore reale stampando denaro dal nulla.