
Via le mani da un fondo sovrano
A colpo d'occhio
La pandemia di coronavirus e i danni economici da essa provocati stanno facendo riemergere l’idea di un fondo sovrano. Infatti, mentre la Confederazione può aspettarsi deficit per miliardi, la Banca nazionale dispone di riserve di divise per circa 900 miliardi di franchi. Questo dossierpolitica esamina le diverse forme di un fondo sovrano, le confronta con i modelli esteri esistenti e mostra le conseguenze della loro realizzazione per l'indipendenza della Banca nazionale.
L’essenziale in breve
I tassi storicamente bassi e le riserve eccezionali della banca centrale indicano che la Svizzera si trova in una situazione monetaria eccezionale. Nel contesto della crisi del coronavirus, ciò rafforza ancor più l’idea di un fondo sovrano. Si privilegiano due soluzioni: creare un fondo con le riserve di divise della Banca nazionale per metterle a profitto oppure mettere in condizione la Confederazione di sfruttare il contesto negativo dei tassi d'interesse per trarre vantaggio da un nuovo indebitamento per poi effettuare investimenti «promettenti». Entrambe le proposte si basano però sull’illusoria prospettiva di un guadagno facile e senza rischi. Un fondo di riserve di divise costituirebbe un’ingerenza nella politica monetaria della Banca nazionale, il cui ruolo è garantire la stabilità dei prezzi e non di fare degli utili, mentre finanziare un fondo con dei debiti metterebbe in gioco il prezioso freno all’indebitamento e attirerebbe interessi politici particolari.
Posizione di economiesuisse
- economiesuisse si oppone alla creazione di qualunque tipo di fondo sovrano.
- Investire le riserve di divise è competenza della Banca nazionale svizzera, la cui indipendenza in materia di politica monetaria non dev’essere contestata.
- Lo Stato non è un imprenditore qualificato e nemmeno un investitore con esperienza. I suoi investimenti sono influenzati dalla politica. Un fondo sovrano creato dalla Confederazione sarebbe esposto ad interessi politici di parte.
- La crisi del coronavirus non deve aprire la porta all’imprudenza budgetaria. Il ridotto indebitamento pubblico è un atout essenziale della piazza economica svizzera e favorisce a sua volta i tassi bassi.

La tentazione del denaro a buon mercato
Dopo l’inizio della crisi finanziaria ed economica nel 2007, lo stato d’urgenza monetaria ha assunto una dimensione planetaria. Per evitare una crisi economica ancora peggiore, la maggior parte delle banche centrali in tutto il mondo sono intervenute in modo drastico, abbassando i tassi d’interesse a livelli storici. Anche gli ingenti acquisti di obbligazioni hanno spinto al ribasso i tassi d'interesse a lungo termine.
Questi sviluppi internazionali non hanno risparmiato la Svizzera. Grazie alle scelte della BNS e alla sua politica economica prudente, il nostro Paese ha potuto attraversare le turbolenze con una certa facilità, ma la crescita robusta ha indotto un apprezzamento costante del franco svizzero. Le conseguenze sono note. In un primo tempo, la BNS ha tentato di contrastare la tendenza riducendo i tassi con gli strumenti convenzionali. Nel settembre 2011 però essa è stata costretta ad introdurre un tasso minimo di cambio e, per applicarlo, è intervenuta regolarmente sul mercato dei cambi. A seguito di questa politica, come mostra il grafico 1, le riserve della BNS sono enormemente aumentate.
Come noto, la Banca nazionale ha abbandonato il tasso minimo di cambio il 15 gennaio 2015 e nel contempo ha abbassato il tasso di riferimento al livello più basso di tutti i tempi di -0,75 %. Il franco si è allora fortemente apprezzato, per stabilirsi dopo alcune settimane attorno a 1,05–1,10 CHF/EURO, un livello che pesa sull’economia svizzera. Ad ogni modo la BNS deve intervenire puntualmente sul mercato dei cambi per stabilizzare il corso, acquistando delle divise. Essa interviene sul mercato dei cambi anche in relazione alla crisi del coronavirus. Le sue riserve di divise si avvicinano attualmente agli 810 miliardi di franchi svizzeri. Questo equivale a circa il 117% della prestazione economica annua della Svizzera.

I tassi di interesse si sono sviluppati in modo quasi opposto allo sviluppo del portafoglio di divise della BNS. Già nel corso della crisi finanziaria del 2008, la BNS aveva massicciamente ridotto i tassi di riferimento a corto termine, quasi a zero. Anche i tassi a lungo termine che la Confederazione deve versare sulle obbligazioni hanno denotato un continuo calo, come mostra il grafico 2. Dopo l’abbandono del tasso minimo di cambio da parte della Banca nazionale e l’introduzione degli interessi negativi, i tassi d’interesse nominali a lungo termine hanno però seguito direttamente gli adattamenti del tasso di riferimento. Nel 2018 il tasso d’interesse a tratti è stato positivo prima di scendere a -1,0% con il rallentamento internazionale dell’economia. Nell’attuale crisi del coronavirus i tassi hanno iniziato a scendere per poi risalire. Il tasso d’interesse resta però negativo. Questo significa che, per certe durate, la Confederazione può oggi contrarre dei debiti a tassi negativi. Al momento di ricevere il denaro, essa ne riceve così di più (almeno in valore nominale) di quanto dovrà ripagare in seguito. Un fenomeno eccezionale anche dal punto di vista storico.

Un «free lunch» per la Svizzera?
A prima vista sembrerebbe che la Svizzera possa accedere a fonti pressoché inesauribili di redditi – almeno a breve e medio termine – senza incorrere in spese. Una sorta di «free lunch». La Banca nazionale potrebbe apparentemente acquisire risorse stampando banconote senza minacciare la stabilità dei prezzi al consumo. Anzi, questo indebolirebbe anche il franco sopravvalutato, a beneficio dell’industria elvetica, mentre la Confederazione potrebbe indebitarsi realizzando addirittura degli utili. Insomma, il fatto di «indebitarsi» potrebbe perdere il suo aspetto problematico per sembrare addirittura un affare lucrativo.
In questo contesto non è sorprendente che la politica voglia approfittare di questa presunta “manna finanziaria”. Da più parti si propone la creazione di un fondo sovrano, che dovrebbe sfruttare l’attuale situazione del franco forte, effettuare degli investimenti “nell’interesse della Svizzera” e – come piacevole effetto collaterale - ridurre le difficoltà economiche dell’industria esportatrice. Singapore e la Norvegia, ma anche Hong Kong, con i loro fondi sovrani coronati dal successo, sono spesso citati come modello. Gli argomenti di cui sopra hanno condotto ad una discussione politica che si concentra su due possibili soluzioni, secondo dei concetti molto diversi. Esaminiamoli di seguito:
- Una parte delle riserve di divise della Banca nazionale sarebbe trasferita in un fondo separato che potrebbe procedere ad investimenti offrendo un potenziale di rendimento più elevato dell’attuale strategia d’investimento della BNS. Numerose proposte mirano inoltre ad investimenti di natura strategica destinati, ad esempio, a progetti innovativi o ad infrastrutture d’importanza strategica all’estero. Grazie a questo genere di fondo sovrano, si pensa comunemente, la ridestinazione di una parte delle riserve della BNS allenterebbe la pressione politica che essa subisce. Alcuni propongono di adattare le regole d’investimento della Banca nazionale allo scopo di aumentare il potenziale di reddito delle riserve.
- La Confederazione dovrebbe sfruttare la situazione dei tassi d’interesse bassi, anzi negativi, per investire sul mercato una somma considerevole (ad esempio 100 miliardi di franchi) in prestiti pubblici. Mezzi che sarebbero in seguito investiti in attivi e progetti altamente redditizi e “promettenti”, come del capitale rischio per innovazioni o investimenti in energie alternative. Alcuni propongono anche di optare per un approccio concentrato su progetti infrastrutturali in Svizzera (ferrovia, strada, ricerca, formazione, ecc.).
Queste forme di fondi sovrani sono un risultato diretto della situazione monetaria attuale. Una mozione del PPD combina le due idee. Essa chiede la creazione di un fondo presso la Confederazione, ma che sarebbe finanziato mediante crediti presso la BNS. Nel contesto della crisi del coronavirus, l’idea di un fondo sovrano è ancora più allettante, come se potesse generare delle risorse finanziarie per magia. Sfortunatamente e indipendentemente dalla forma del fondo, esse nascono dalla tentazione del denaro a buon mercato, dando l’illusione di un guadagno gratuito e privo di rischi. Come dimostreremo in questo dossierpolitica, il “free lunch” non esiste, nemmeno in questi tempi eccezionali che la politica monetaria sta attraversando. Al contrario. Dal punto di vista economico, le idee di fondo sovrano devono essere assolutamente respinte.

Fondi sovrani all’estero: modelli per la Svizzera?
Anche il Fondo di compensazione dell’AVS è una specie di fondo sovrano.
Nel senso più ampio del termine, i fondi sovrani non hanno nulla di eccezionale nel mondo. Con il Fondo per le strade, quello per le infrastrutture ferroviarie e il fondo di compensazione dell’AVS, anche la Svizzera ne possiede. Questi impegni pubblici sul fronte degli investimenti servono in primo luogo a “lisciare” le entrate. Questi fondi non sono finanziati dai debiti. Essi sono alimentati dalle imposte e dai contributi versati dalla popolazione.
Le proposte per la creazione di un fondo sovrano si orientano ai grandi fondi d’investimento, in particolare a quello norvegese e singaporiano. Singapore possiede due fondi indipendenti, di cui uno gestisce, tra altri compiti, una parte delle riserve di divise della banca centrale.
Singapore: due fondi sovrani con obiettivi distinti
Il fondo sovrano più noto di Singapore, denominato Temasek, appartiene al ministero delle finanze. Esso è stato creato nel 1974 per gestire, secondo un modello corrente nell’economia asiatica, le società e le partecipazioni statali nelle imprese nazionali, ad esempio le Singapore Airlines. Il portafoglio del fondo è dunque costituito da attivi reali. Gli impegni finanziari di Temasek hanno continuato ad aumentare e la sostanza globale in gestione si calcola oggi in 266 miliardi di dollari di Singapore (circa 185 miliardi di franchi svizzeri), ciò che rappresenta quasi il 63% del PIL singaporiano. Secondo le informazioni fornite da Temasek, il fondo gestisce la propria sostanza indipendentemente dal potere politico, ma versa regolarmente dei dividendi al ministero delle finanze. Esso non è dunque soggetto a nessuna regola d’investimento per quanto concerne i settori economici o determinate tecnologie e deve solo vegliare a valorizzare il proprio portafoglio di attivi.
Le riserve della banca centrale di Singapore sono gestite dal fondo GIC Private Limited, indipendente da Temasek. Questi investimenti costituiscono solo una parte degli attivi in gestione presso GIC. I dati finanziari delle partecipazioni o delle perdite e dei profitti non vengono comunicati. Si teme infatti che ciò possa permettere di risalire al volume delle riserve monetarie della Città-Stato; ciò potrebbe complicare la messa in atto di una politica monetaria che mira ad un valore esterno stabile della moneta. Singapore non conosce una banca centrale indipendente come la maggior parte dei Paesi occidentali e soprattutto la Svizzera. Il presidente delle autorità monetarie in questione è pure ministro delle finanze. Il fatto che ciò possa funzionare è legato da una parte al sistema politico di democrazia limitata e dall’altra alla politica monetaria basata sul tasso di cambio. La banca centrale di Singapore non persegue dunque una politica monetaria indipendente, ma si allinea a quella dei suoi partner commerciali.
Gli istituti non devono quindi obbligatoriamente essere indipendenti per garantire la credibilità della loro politica monetaria. Su questo punto, Singapore si distingue fondamentalmente dalla Svizzera, la cui politica monetaria autonoma basata sulla stabilità dei prezzi, non può fare a meno di una banca centrale indipendente per imporre plausibilmente i propri obiettivi. L’acquisto, la vendita e la gestione di riserve di divise sono allora dei mezzi e non uno scopo in sé. Non bisogna sottovalutare il vantaggio di prezzi stabili a lungo termine. Inflazione e tasso di deflazione ridotti sono sinonimi di stabilità e credibilità per il risparmio e gli investimenti in Svizzera, riducono anche le distorsioni di prezzo e favoriscono una migliore crescita economica. È così possibile sottoscrivere dei contatti a lungo termine senza che i prezzi convenuti varino fortemente in termini reali.
Norvegia: benessere grazie al petrolio
Il fondo GPFG della Norvegia (Government Pension Fund Global), creato nel 1990, è considerato come il principale fondo sovrano al mondo. Il suo valore di mercato è di 836 miliardi di franchi svizzeri e la sua gestione spetta alla banca centrale (Norges Bank), nel rispetto delle regole politiche emesse dal ministero delle finanze. Il portafoglio – costituito esclusivamente da azioni, da titoli che generano degli interessi e da valori immobiliari all’estero – deve dunque adempiere alcune esigenze, ciò che non manca di suscitare discussioni (politiche).
Il GPFG è la risposta della Norvegia alla presa di coscienza che le sue riserve di petrolio, principale fonte di reddito del Paese, non sono inesauribili. Grazie al fondo, il Governo norvegese può investire i redditi del petrolio in settori d’attività redditizi a lungo termine e permettere così anche alle generazioni future di approfittare del benessere relativo alla gestione del petrolio. Prima della creazione del fondo, i redditi del petrolio erano versati direttamente al budget dello Stato. La base legale sulla quale si basa il fondo prevede per contro che solo l’equivalente del rendimento previsto del fondo, circa il 3% all’anno, sia messo delle finanze pubbliche. Il fondo sovrano norvegese è dunque nato in un certo modo da una volontà di autodisciplina del potere politico (su immagine di un freno all’indebitamento).
Il GPFG è finanziato esclusivamente dai redditi del commercio del petrolio. Non esiste nessun apporto pubblico né apporto di capitale derivante da obblighi di Stato. La grande differenza con la Svizzera è che il nostro Paese, come tutti sanno, non possiede praticamente risorse naturali e non dispone dunque della stessa “base di valore reale”.
Questo fa sì che i fondi sovrani esteri non possano servire da argomento per le idee in Svizzera a favore di un simile strumento, poiché le condizioni sono radicalmente diverse. Di seguito, esamineremo nel dettaglio le idee svizzere in materia di fondi sovrani e mostreremo che le loro conseguenze sarebbero molto problematiche.

Perché la Banca nazionale non può essere il guardiano di un fondo sovrano
Dopo l’abbandono del tasso minimo di cambio da parte della BNS, uno degli argomenti ricorrenti è stata la crescita sostenuta del suo bilancio, che renderebbe difficile proseguire su questa via. La creazione di un fondo sovrano potrebbe non solo sgravare il bilancio e così la Banca nazionale, ma anche generare nuovi redditi. Con l’acquisto di ulteriori divise a favore del fondo sovrano, la BNS contribuirebbe a indebolire il franco svizzero.
Un fondo sovrano nuocerebbe all’indipendenza della BNS
È chiaro che poco importa che le riserve della BNS appaiano direttamente nel suo bilancio contabile o siano “trasferite” a un fondo sovrano separato. Il fondo sarebbe infatti semplicemente un debito verso la Banca nazionale che lo inserirebbe dunque all’attivo e il bilancio dunque non cambierebbe. Oltre alla vendita delle riserve, il solo mezzo con il quale la BNS può ridurre il proprio bilancio sono delle perdite (ad esempio attraverso la distribuzione ai Cantoni).
Se un fondo sovrano presso la Banca nazionale fosse retto da regole d’investimento (politiche, qualunque esse siano), la sua creazione comporterebbe di fatto un’ingerenza nella politica d’investimento e, pertanto, nell’indipendenza della BNS in materia di politica monetaria. Garantita dalla Costituzione, quest’ultima non è fine a sé stessa. Per potersi imporre con credibilità sui mercati finanziari allo scopo di garantire la stabilità dei prezzi e ammortizzare gli choc monetari o macroeconomici, gli attori del mercato devono essere sicuri e nessuna ingerenza politica deve indebolire la BNS, anche se le misure sono impopolari. Dare un segnale contrario rischierebbe di colpire gravemente la capacità d’azione della BNS e di nuocere durevolmente alla sua reputazione e alla sua capacità di agire. La ricerca in materia di storia economica mostra chiaramente che l’indipendenza della Banca nazionale è di gran lunga il criterio di successo principale, quando si tende alla stabilità dei prezzi.
Lo stesso vale per l’esigenza d’investimenti strategici da parte della BNS. Una banca centrale indipendente non può essere l’investitore dominante di un’impresa isolata né esporsi al sospetto di perseguire, mediante i suoi investimenti, degli obiettivi politici diversi dal mantenimento della stabilità dei prezzi. Soltanto una vasta diversificazione garantisce che la BNS sia, conformemente al suo mandato, vista come attore sovrano, neutra nei confronti del mercato ed esclusivamente dedicata agli obiettivi di politica monetaria. E, anche se ciò svolge solo un ruolo secondario, a lungo termine solo una strategia d’investimento ampia promette di generare i migliori rendimenti.
La BNS non ha la missione prioritaria la realizzazione di utili
Circa il 20% delle riserve di divise della BNS sono attualmente investite in azioni e il 69% in obbligazioni di Stato. Questa strategia d’investimento della BNS (quota di azioni relativamente bassa e quota importante di obbligazioni di Stato) ma anche la strategia di gestione passiva del suo portafoglio d’azioni (quest’ultimo riflette semplicemente le variazioni d’indici borsistici) contribuiscono probabilmente a spiegare le simpatie che suscitano gli appelli a privare la BNS di una parte delle sue riserve di divise per creare un fondo sovrano.
La vendita di azioni è uno strumento importante della politica monetaria. Essa permette alla BNS di ridurre la liquidità sul mercato. Fa così parte della politica basata sulla stabilità perseguita dalla banca centrale conformemente al suo mandato legale. Se vengono realizzati degli utili, si tratta di un effetto secondario rallegrante, ma che gioca tuttalpiù un ruolo secondario. Se la politica monetaria lo richiede, le riserve di divise devono poter essere vendute nel momento più opportuno. Le obbligazioni di Stato sono più facili da liquidare delle azioni. Esse trovano degli acquirenti abbastanza facilmente. I loro corsi sono meno volatili. Questa proprietà (propria dei titoli obbligazionari in generale) facilita la gestione della massa monetaria. Si obietta sovente che la BNS dispone anche di un altro mezzo per ridurre la massa monetaria se necessario, ossia l’emissione di titoli di credito propri (denominati “buoni della BNS”). Ciò corrisponde al vero, ma questa strategia è rischiosa. L’emissione di buoni della BNS comporta delle spese e la BNS remunera questi titoli con un tasso il cui livello è influenzato proprio da essa. Le decisioni in questo settore potrebbero scontrarsi con gli obiettivi della politica monetaria. Ad ogni modo, le suddette spese possono essere superiori agli eventuali ricavi supplementari che risulterebbero, ad esempio, grazie ad un aumento della quota di azioni nel portafoglio.
La strategia d’investimento della BNS è veramente così sbagliata?
È lecito avere diverse opinioni sulle strategie d’investimento della BNS, anche se si riconosce l’obiettivo primario della stabilità nella politica perseguita dalla banca centrale. La strategia d’investimento attuale della BNS è fondata su ragioni solide, anche se l’ottenimento di un rendimento non costituisce uno scopo prioritario della BNS. L’idea che la quota delle riserve di divise della BNS investite in azioni sarebbe troppo bassa (come si potrebbe pensare di primo acchito) dev’essere relativizzata alla luce della teoria della gestione del portafoglio. La causa è che gli investitori considerano il franco svizzero come una moneta rifugio. Questo spiega in parte la forza attuale della moneta elvetica e ha più generalmente per effetto che, dal punto di vista dell’investitore svizzero (come lo è la BNS), i tassi di cambio e i mercati azionari esteri tendono ad evolvere nella stessa direzione (prociclicità). Quando le monete straniere si svalutano rispetto al franco svizzero, anche il valore delle azioni straniere ha tendenza a diminuire. La figura 3, che paragona il rendimento trimestrale dei mercati azionari europei e la variazione relativa del corso di cambio CHF/EURO, illustra questa correlazione. Capita così spesso che una diminuzione del valore delle azioni nelle borse europee sia accompagnata da una svalutazione dell’euro rispetto al franco svizzero. In questo scenario, l’investitore svizzero subisce una doppia perdita: una perdita (in euro) dovuta alla diminuzione del corso delle azioni e una perdita di cambio legata alla svalutazione dell’euro rispetto al franco svizzero (se vende le sue azioni). Questo fenomeno riduce il potenziale di diversificazione che rappresentano gli investimenti in azioni. Trattandosi degli investimenti puramente esteri, è dunque opportuno – come fa la BNS – avere in portafoglio una quota di azioni relativamente bassa e una quota relativamente importante di obbligazioni statali (questi ultimi con un comportamento anticiclico).
La stampa di moneta non crea valore reale
Il trasferimento di una parte delle riserve di divise della BNS verso un fondo sovrano non toccherebbe il corso del franco svizzero, poiché le riserve in questione sono già investite all’estero. Per indebolire il franco svizzero, la BNS dovrebbe dunque in tutti i casi acquistare delle divise – anche se queste ultime dovessero in seguito essere trasferite verso il fondo sovrano – indipendentemente dalla strategia d’investimento.
L’acquisto di divise è una decisione di politica monetaria di esclusiva competenza della BNS. Se non se ne tiene conto, bisogna almeno evitare un errore d’interpretazione correntemente commesso circa le conseguenze dei suoi interventi sul mercato dei cambi. L’idea che l’acquisto di divise estere da parte della BNS, stampando banconote, permetterebbe per così dire di creare del valore reale (indebolendo nel contempo il franco svizzero) non tiene conto del modo con cui funzionano le divise in contanti. Gli investimenti eseguiti dalla BNS in divise estere possono avvenire solo al valore nominale; essi hanno un prezzo che è sopportato dalle persone che detengono (nominalmente) degli averi in franchi svizzeri. Mentre il fondo sovrano norvegese è collegato ad attivi reali come le materie prime, questo non sarebbe il caso per la BNS. È impossibile per una banca centrale creare del valore reale stampando carta. La stampa delle banconote non fa altro che ampliare il bilancio. L'acquisto di divise aumenta le disponibilità in valuta estera della BNS sul lato dell'attivo, ma aumenta anche il lato del passivo e quindi le passività della BNS. L'acquisto di valuta estera non aumenta il capitale proprio della banca centrale.
A lungo termine, la stampa delle banconote può anche ridurre il valore di una singola banconota. Questo può condurre all’inflazione: l’importo nominale necessario per l’acquisto di un determinato bene aumenta. Finora l'inflazione sotto forma di aumento dei prezzi al consumo non si è verificata. Tuttavia, i risparmiatori sono stati tassati dall'inflazione: i prezzi degli attivi sono aumentati notevolmente. Dal punto di vista di un potenziale investitore, questo tipo di inflazione è altrettanto cruciale. Infine, rimane valida una vecchia massima economica: non si può creare un valore reale stampando denaro dal nulla.

L’illusione dell’indebitamento “low cost”
In materia di politica finanziaria, la Svizzera è considerata come un allievo modello a livello mondiale. In controtendenza con la maggior parte degli altri Stati industrializzati, la Svizzera ha nettamente ridotto il proprio indebitamento pubblico negli ultimi dieci anni, in particolare grazie al freno all’indebitamento – strumento che ha del resto suscitato un vivace interesse all’estero ed è stato copiato più volte. Il tasso d’indebitamento della Svizzera è di circa il 35% del PIL. Questo tasso è destinato ad aumentare significativamente a seguito della crisi del coronavirus. Il tasso d’indebitamento tendenzialmente moderato è uno dei motivi dell'elevato rating creditizio delle obbligazioni della Confederazione (che, oltre agli aspetti di politica monetaria, è uno dei motivi dei bassi tassi d'interesse), ma dall'altro, a prima vista sembra offrire anche un margine per un aumento favorevole del debito (lordo), ad esempio a favore di un fondo sovrano orientato al rendimento.
Questa descrizione dei meccanismi di mercato è statica. In realtà, la buona solvibilità dei titoli di credito federali – e il basso livello degli interessi che ne risulta – riflette l’attesa degli investitori che la Svizzera mantenga la sua rotta in materia di politica finanziaria. Se il debito dovesse aumentare fortemente, nel contesto delle politiche effettuate durante la crisi del coronavirus, gli interessi aumenterebbero (anche la creazione di un fondo sovrano dotato di circa 100 miliardi di franchi – un ordine di grandezza spesso ipotizzato – avrebbe l’effetto di far aumentare nettamente il tasso d’indebitamento della Svizzera). In questa ipotesi, bisognerebbe trovare un sotterfugio per schivare il freno all’indebitamento, ciò che screditerebbe la politica finanziaria svizzera. Gli investitori vi vedrebbero un precedente che potrebbe verificarsi in ogni momento.
Lo Stato non è un investitore qualificato
Si potrebbe obiettare che l’onere degli interessi resterebbe relativamente basso in caso di leggero rincaro del servizio del debito e che, nel contesto attuale, un fondo sovrano sarebbe in grado di essere lucrativo. Di primo acchito, sembra effettivamente che il potenziale rendimento di un simile fondo sarebbe sensibilmente più elevato del corrispondente onere degli interessi. Ma si tratta di una conseguenza non della situazione attuale dei tassi d’interesse, ma del fatto che gli investitori sono disposti ad accettare una riduzione degli interessi serviti sulle obbligazioni di Stato, poiché queste ultime sono garantite dal contribuente. In quanto tale, un fondo sovrano non ha, dal canto suo, i mezzi di sottrarsi al rapporto rendimento/ rischio dettato dal mercato – a meno, giustamente, che non si esiga dal contribuente – ciò che non è il suo ruolo – che sopporti sistematicamente i rischi del fondo al posto di altri investitori, indipendentemente dalle sue preferenze personali in materia di rischio.
Inoltre, un fondo sovrano rischia di essere strumentalizzato per degli interessi politici particolari. In teoria, la direzione del fondo dovrebbe cercare di realizzare un rendimento massimo per le persone che sopportano il rischio, ossia i contribuenti. Ma in pratica – e il dibattito avviato lo dimostra – gli investimenti di un simile fondo dovrebbero probabilmente soddisfare diverse esigenze politiche. Si potrebbe ad esempio chiedere che gli investimenti siano sopportabili sul piano sociale, che promuovano le tecnologie verdi, che servano a mettere a disposizione del capitale di rischio, che sostengano l’innovazione, che siano “basate sul futuro”, che contribuiscano alla creazione di posti d’apprendistato, ecc. Si potrebbe allungare la lista all’infinito. La politica è un pessimo uomo d’affari e anche inadatta per consigliare degli investimenti. Si può quasi essere certi che numerosi investimenti del fondo sovrano finanzierebbero in realtà il consumo dello Stato. Si correrebbe il rischio che il fondo realizzi un rendimento inferiore e assuma più rischi di un investitore ordinario, il tutto sulle spalle dei contribuenti e della piazza economica svizzera.
Un fondo sovrano comprometterebbe il freno all’indebitamento
Gli interventi che chiedono la creazione di un fondo sovrano mostrano che gli ambienti politici intendono così aumentare le risorse finanziarie a disposizione. Non si tratta di investire in titoli, bensì di realizzare dei progetti. Gli interventi mostrano così che i mezzi supplementari sarebbero utilizzati per ogni tipo di causa. Un fondo sovrano aumenterebbe dunque sensibilmente l’impronta dello Stato in Svizzera. Avrebbe anche conseguenze drammatiche per uno dei principali strumenti della politica finanziaria, il freno all’indebitamento: ogni ulteriore indebitamento sul mercato dei capitali costituisce un nuovo debito della Confederazione. Un fondo sovrano finanziato dal debito non è quindi compatibile con il freno all'indebitamento.
Il franco sarebbe probabilmente ulteriormente rafforzato
I sostenitori di un fondo patrimoniale sovrano in mano alla Confederazione, pur concentrandosi su potenziali rendimenti o su livelli di indebitamento favorevoli, si aspettano anche un indebolimento del franco, più o meno come piacevole effetto secondario. Se questo sia effettivamente il caso dipende dalle risposte a due domande. Primo: i nuovi titoli saranno più facilmente acquistabili da investitori indigeni o stranieri? E secondo: questo fondo sovrano sarà piuttosto investito in Svizzera o all'estero?
Alla prima domanda non è possibile dare una risposta definitiva, poiché non è possibile prevedere il comportamento dei vari investitori. Tuttavia, la maggiore liquidità del mercato dei titoli di Stato svizzeri creata da un fondo sovrano tende a far pensare a un aumento della domanda estera. La maggiore liquidità renderà più facile per gli investitori l'acquisto e la vendita di obbligazioni svizzere, poiché queste ultime possono essere incluse in un portafoglio diversificato ancora più facilmente di oggi. Il franco tenderebbe quindi a rafforzarsi.
La risposta alla seconda domanda dipende dalla strategia d’investimento dell’eventuale fondo sovrano. Se quest’ultimo investisse maggiormente in Svizzera, il franco ne risulterebbe rafforzato. La stessa cosa vale se le risorse venissero utilizzate per progetti infrastrutturali. Per contro, un fondo i cui capitali sarebbero investiti essenzialmente all’estero (sempre che una simile strategia sia in grado di trovare maggioranze) indebolirebbe il franco. Alcuni diranno che la Confederazione potrebbe compensare così il basso livello d’investimento all’estero degli Svizzeri. Questo implicherebbe però che gli Svizzeri diventino degli investitori irrazionali, un’ipotesi che non si giustifica affatto. Inoltre, dei divari di rendimento sistematici sarebbero immediatamente corretti dal mercato, più precisamente da coloro che vengono definiti gli arbitraggisti Gli ostacoli regolamentari talvolta imposti agli investitori istituzionali costituiscono un’eccezione. Il legislatore potrebbe contribuire in maniera interessante ad un indebolimento del franco attraverso una rispettiva liberalizzazione delle prescrizioni d'investimento.

Fondo sovrano – desideri e realtà


Conclusione: una Banca nazionale indipendente e una politica finanziaria sostenibile sono la via maestra
A seguito della crisi finanziaria mondiale, il mondo industrializzato – e con esso la Svizzera – si ritrova in una situazione eccezionale in materia di politica monetaria. La crisi del coronavirus la prolunga per una durata indeterminata. Le importanti riserve di divise della BNS e il basso livello degli interessi del debito nutrono l’illusione che la Svizzera possa approfittare di risorse finanziarie quasi gratuitamente e senza rischi. Per alcuni, agli ambienti politici mancherebbe solo il coraggio di approfittare di questa manna.
Le importanti riserve di divise della Banca nazionale come pure il basso livello dei tassi di interesse del debito della Confederazione non costituiscono dei valori reali. È in questo che si distinguono fondamentalmente le proposte di fondo sovrano svizzero dai modelli di fondi sovrani della Norvegia e di Singapore, che si basano sui proventi della vendita di petrolio o su imprese statali. Un fondo sovrano basato sulle riserve della BNS metterebbe in pericolo l’indipendenza della BNS e la fiducia di quest’ultima nei confronti dei mercati in materia di politica monetaria, complicando durevolmente la sua attività. In un simile contesto, la stabilità dei prezzi non potrebbe più essere garantita. Inoltre, un fondo sovrano gestito dalla Confederazione e basato su un aumento del suo indebitamento permetterebbe soprattutto agli investitori di addossare i loro rischi sulle spalle dei contribuenti svizzeri. Un simile fondo, a parte il fatto di contribuire ulteriormente alla forza del franco e di essere oggetto di interessi politici particolari, metterebbe anche in pericolo la stabilità della politica finanziaria elvetica. E infine la fattura sarebbe presentata ai contribuenti.
Un fondo sovrano servirebbe, ed è molto comprensibile, per tutta una serie di interessi politici, in particolare se sussiste l’illusione che quest’ultimo possa essere dotato di mezzi praticamente illimitati. Ma, in realtà, la chiave del successo della politica economica svizzera non cambia. Una banca nazionale indipendente preoccupata di garantire la stabilità dei prezzi, associata ad una politica budgetaria equilibrata, protetta dal meccanismo del freno all’indebitamento: se la ricetta può sembrare noiosa, l’esperienza mostra quanto essa sia efficace.
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