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Un mercato del lavoro molto dinamico: un impiego su dieci scompare, molti di più ne vengono creati

A colpo d'occhio

Il timore di perdere il proprio posto di lavoro tra la popolazione attiva è notevolmente aumentato in quest’ultimi tempi. Spesso si teme che la digitalizzazione possa portare alla soppressione di migliaia di posti di lavoro. Tuttavia, sul mercato del lavoro svizzero non è presente alcun segnale, così come non si constata un aumento diffuso della disoccupazione e neppure una carenza di posti di lavoro. Al contrario, il numero di impieghi non è mai stato così elevato come oggi. Come spiegare quindi questa discrepanza tra percezione e realtà?

L’essenziale in breve

Non passa giorno senza che i media annuncino una chiusura di impresa o una ristrutturazione. Quasi sempre, l’articolo si focalizza sul numero di impieghi soppressi. Di conseguenza vengono spesso sollevate riflessioni sul futuro del lavoro, che sarebbe minacciato dalla digitalizzazione. Che il timore di perdere il proprio posto di lavoro sia notevolmente aumentato in questi ultimi tempi non sorprende. Come rivela un sondaggio presso la popolazione, il tasso di disoccupazione percepito dagli Svizzeri è il doppio di quello del tasso di disoccupazione reale. Uno sguardo al mercato del lavoro mostra però che il numero di impieghi non è mai stato così elevato come oggi, che la disoccupazione è molto bassa e che il tasso d’attività raggiunge un livello da primato. Come spiegare tutto questo? Una parte importante della spiegazione consiste nel fatto che le chiusure di imprese e le ristrutturazioni con numerosi licenziamenti falsano l’immagine nel complesso positiva del mercato del lavoro, poiché queste brutte notizie si diffondono molto più rapidamente delle buone. Secondo uno studio recente, i media informano tre volte più frequentemente sulle soppressioni di posti di lavoro malgrado, nel periodo in esame, siano stati creati 40'000 impieghi netti. Le nostre analisi sulle cifre dell’occupazione in Svizzera rivelano inoltre che i settori che licenziano molto assumono anche molto. Nei settori in cui le imprese chiudono più della media, gli impieghi creati sono quasi sempre più numerosi rispetto agli impieghi soppressi. Le chiusure di imprese e le ristrutturazioni non devono dunque essere interpretate come dei segnali d’allarme, bensì piuttosto come un aspetto del dinamismo del mercato del lavoro e dei cambiamenti strutturali.

Posizione di economiesuisse

  • Uno dei grandi punti forti dell’economia svizzera è il suo mercato liberale del lavoro. Non bisogna dunque metterlo in pericolo.
  • Il mercato del lavoro svizzero è molto dinamico. Ogni giorno, scompaiono oltre 1200 impieghi, e ne vengono creati più di 1300. Ogni anno, circa il 10% di tutti gli impieghi vengono soppressi, e un po’ più del 10% vengono creati.
  • Le ondate di licenziamenti offrono un’immagine distorta del mercato del lavoro. Gli articoli di stampa sulle soppressioni di impieghi sono tre volte più numerosi di quelli relativi alle creazioni di impieghi. Così si diffonde un’immagine parziale della realtà nella popolazione. Gli svizzeri hanno l’impressione che la disoccupazione sia il doppio di quanto non lo sia in realtà.
  • Nei settori con numerose soppressioni d’impiego a seguito di chiusure aziendali, gli impieghi supplementari creati sono addirittura maggiori. Le chiusure aziendali e le ristrutturazioni non sono un segnale d’allarme, bensì un aspetto di un mercato del lavoro liberale e dinamico che crea ogni anno più impieghi di quanti ne sopprima.
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Introduzione

La paura della disoccupazione in Svizzera

IIn Svizzera, sempre più persone temono per il loro impiego. È quanto rivelano gli ultimi risultati dell’indagine svizzera sulla salute svolta ogni cinque anni. Risultati che non sorprendono affatto considerate le discussioni controverse sulla digitalizzazione e le sue ripercussioni sul mercato del lavoro.

Grafico 1

La paura di perdere l’impiego Ha paura di perdere il suo attuale posto di lavoro?

Circa il 15% di tutte le persone attive occupate hanno paura, anzi molta paura, di perdere il loro impiego. Questa cifra è in rialzo del 23% rispetto alla precedente inchiesta del 2012.

La paura di perdere il posto di lavoro non è fondamentalmente nuova. Secondo il barometro delle preoccupazioni stabilito ogni anno da Credit Suisse, la disoccupazione occupa il primo posto delle preoccupazioni della popolazione svizzera in due indagini su tre effettuate dopo il 1976. Che le nuove tecnologie sconvolgeranno interi settori è ormai un fatto acquisito. Gli operatori di servizi digitali, come Uber e Airbnb, mettono in difficoltà le imprese più datate. Le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, le stampanti 3D, la robotica e numerosi altri progressi, dovrebbero trasformare l’economia. È dunque normale che le minacce che si profilano sull’impiego generino timori esistenziali.

Queste paure non sono nuove. Già all’inizio del XIX secolo, degli operai inglesi che temevano per il loro posto di lavoro, avevano espresso il loro disappunto distruggendo dei macchinari. Più vicino a noi, nell’Oberland zurighese, un atelier di tessitura meccanica era stato incendiato da tessitori a domicilio in collera nel 1831. Durante la grande depressione degli anni 1930, Keynes evocava già la “disoccupazione tecnologica”. Nonostante tutti questi timori nessuna rivoluzione industriale ha accentuato la disoccupazione o la povertà. Al contrario, i progressi tecnologici hanno aumentato il benessere.

Nessun segnale pericoloso sul mercato del lavoro

È possibile spiegare la paura di perdere il lavoro con la situazione oggettiva sul mercato del lavoro in Svizzera? I progressi tecnologici costanti di questi ultimi anni hanno effettivamente fatto aumentare la disoccupazione o diminuire il tasso d’attività? O si tratta di paure, infondate, dello sconosciuto? Per rispondere a queste domande, esamineremo tre indicatori: l’impiego, il tasso di disoccupazione e il tasso d’attività.

Iniziamo con l’esame dell’evoluzione dell’occupazione nel corso degli ultimi 25 anni. Le cifre utilizzate sono equivalenti al tempo pieno, poiché permettono di considerare il volume totale di lavoro. Se ci si riferisse al numero di impieghi in cifre assolute, un aumento della quota degli impieghi a tempo parziale farebbe gonfiare questa cifra, senza che il volume di lavoro aumenti. Il grafico 2 mostra che l’impiego è progredito costantemente nel corso degli ultimi 25 anni. Tra il 1993 e il 2018, il numero di posti a tempo pieno è passato da circa 3,2 milioni a quasi 3,9 milioni. Ciò corrisponde ad un aumento del 22%.

Grafico 2

Numero di impieghi a tempo pieno

Il numero di impieghi da solo non basta ad escludere la sostituzione della manodopera con la tecnologia. Di fatto, un aumento dell’occupazione potrebbe anche risultare semplicemente da un aumento della popolazione, mentre la disoccupazione potrebbe aumentare parallelamente. Per questo anche la disoccupazione dev’essere presa in considerazione. Sono ritenuti come disoccupati le persone che sono senza lavoro, che cercano un impiego e che sono disponibili a breve termine ad iniziare un’attività. Se il progresso tecnologico comportasse una distruzione del lavoro, si dovrebbe osservare un aumento del tasso di disoccupazione. Tuttavia, anche qui, il tasso di disoccupazione non basta per sostenere un simile fenomeno. Se una persona abbandona la sua ricerca d’impiego, essa non è più considerata disoccupata. Esce allora dalla popolazione attiva occupata, ciò che comporta una riduzione del tasso d’attività. Per questa ragione, consideriamo sia il tasso di disoccupazione sia il tasso d’attività.

Il grafico 3 mostra l’evoluzione di questi due tassi durante gli ultimi 25 anni. Si può vedere come il tasso di disoccupazione sia rimasto all’incirca costante dopo il 1993, oscillando tra il 2,8% e il 5,1%, a dipendenza della situazione economica. Il tasso d’attività è invece aumentato, passando dall’80% a circa l’84% nello stesso periodo. Questo significa che è occupata sul mercato del lavoro una proporzione maggiore della popolazione.

Grafico 3

Tasso di disoccupazione e tasso d’attività

Se analizziamo il periodo a partire dalla fine del XIX secolo, si vede che la disoccupazione derivante dal progresso tecnologico non è mai stata un fenomeno di massa. Nel corso degli anni, non solo il lavoro, ma anche i salari sono aumentati, mentre la durata dell’orario di lavoro è diminuita.

Anche se non è possibile osservare nessuno spostamento a livello aggregato, ciò non significa che non vi sia stato alcun cambiamento. Negli anni 1970 e 1980, la disoccupazione era diffusa sia presso le persone poco qualificate che presso quelle con qualifiche più elevate. Nei decenni successivi, il divario è aumentato ulteriormente. I cambiamenti tecnologici non hanno sostituito il lavoro, tranne nel caso di lavori non qualificati. Mentre la richiesta di manodopera poco qualificata è costantemente diminuita, quella di manodopera molto qualificata è aumentata. Si costata che il progresso tecnologico ad alta intensità di formazione porta ad una maggiore richiesta di conoscenze tecniche e quindi di qualifiche più elevate. Questa evoluzione è confermata da una seconda tendenza. Con la globalizzazione, le attività semplici che non richiedono personale qualificato si sono spostate verso Paesi con salari bassi.

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Focalizzazione dei media sulle soppressioni di impieghi

Un tasso di disoccupazione ampiamente sovrastimato

Come mostrano i risultati di un sondaggio a livello europeo, il tasso di disoccupazione è fortemente sovrastimato in Svizzera. Nel 2016 le persone interrogate ritenevano questo tasso dell’11,3%, mentre quest’ultimo era in realtà del 5,1%. La disoccupazione percepita dalla popolazione svizzera è dunque il doppio di quanto non sia in realtà.

Grafico 4

Tasso di disoccupazione effettivo e stimato in Svizzera, nel 2016

Nel capitolo precedente, abbiamo mostrato che non esiste alcun indice che attesti una distruzione significativa del lavoro. Si tratta allora di capire perché la paura di perdere il proprio impiego sia così diffusa, e perché la disoccupazione percepita sia sovrastimata rispetto alla realtà.

Una possibile spiegazione è un confronto con la disoccupazione, sia a titolo personale, sia attraverso qualcuno nelle immediate vicinanze. La disoccupazione colpisce relativamente poche persone in Svizzera, ma ogni caso può avere conseguenze finanziarie gravi e indurre le persone colpite ad avere una percezione e paura eccessiva della disoccupazione. Un’altra spiegazione è da ricercare nel posto predominante che questo tema occupa nel dibattito pubblico. I media, gli ambienti politici ed accademici si interessano sempre più a questo tema, in particolare a seguito del progresso tecnologico e, più specificatamente, della digitalizzazione.

Le ondate di licenziamenti danno una falsa immagine della realtà

Vorremmo qui verificare la seconda ipotesi analizzando più da vicino la copertura mediatica del tema. Per questo, abbiamo esaminato le edizioni di cinque quotidiani della Svizzera tedesca: . Abbiamo verificato e contato con quale frequenza i media menzionati pubblicano notizie sulla soppressione e la creazione di impieghi.

L’analisi rivela che, nel 2016, questi media hanno pubblicato 397 articoli relativi a soppressioni o creazioni di impieghi. Di questo numero, 296 concernevano delle soppressioni di impieghi, e solo 101 parlavano della creazione di impieghi. Gli articoli dedicati a delle soppressioni di impieghi sono dunque stati tre volte più numerosi. Un risultato interessante costatato che durante il periodo considerato, il mercato del lavoro svizzero ha registrato una creazione netta di impieghi di circa 40'000 posti.

Gli articoli sulle soppressioni di impieghi non erano solo molto più frequenti, ma anche molto più visibili. . Per quanto concerne le notizie sulle creazioni di impieghi, soltanto il 19% si erano visti concedere ampio spazio sui media. La nostra indagine si è così interessata alla frequenza con la quale un annuncio di creazione o di soppressione di impieghi è stato ripreso dai giornali. La conclusione è che l’annuncio di una soppressione di impieghi è mediamente ripreso molto più spesso e simultaneamente da diversi media, o addirittura il tema viene trattato per più giorni dallo stesso giornale. Il record in materia è detenuto dall’annuncio nel gennaio 2016 della soppressione di 1300 posti di lavoro presso Alstom. Questa notizia è apparsa 25 volte sotto varie forme nei media analizzati.

Grafico 5

Valutazione dell’analisi dei media

Che cosa bisogna dedurre da questa analisi dei media? Mentre il mercato svizzero del lavoro ha creato oltre 40'000 impieghi netti durante il periodo considerato, gli articoli di stampa sulle soppressioni di impieghi sono stati tre volte più numerosi. Questi articoli hanno occupato ampio spazio in quasi la metà dei casi e i diversi media hanno a più riprese parlato di questo tema. La paura della disoccupazione può dunque essere attribuita ai media? Sarebbe falso dar loro la colpa. Se i media pubblicano molto più spesso le notizie concernenti le soppressioni di impieghi è perché la chiusura di un’azienda o una ristrutturazione comportano spesso delle ondate di licenziamenti. Le creazioni di impieghi si effettuano spesso molto più progressivamente e sfuggono dunque all’attenzione del pubblico. I media svolgono però un ruolo non trascurabile nella percezione della disoccupazione da parte della popolazione svizzera.

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Chiusure di imprese o ristrutturazioni sono effettivamente dei segnali d’allarme?

Gli impieghi soppressi a seguito di una chiusura di impresa o di una ristrutturazione sono spesso oggetto di una copertura mediatica. Quest’ultima spiega in parte i timori quasi viscerali della popolazione attiva preoccupata per il proprio impiego. Ma si possono considerare le chiusure di imprese e le ristrutturazioni come un segnale d’allarme? Oppure semplicemente fanno parte della dinamica di un mercato del lavoro flessibile e reattivo? Qual è il dinamismo del mercato del lavoro e quali settori spiccano particolarmente per questo fenomeno? Per rispondere a queste domande, analizzeremo le ultime cifre della Statistica strutturale delle imprese (STATENT) dell’Ufficio federale di statistica (UST). La statistica informa sul numero di impieghi creati e soppressi globalmente nei vari settori. Essa permette inoltre di capire i motori all’origine della dinamica, poiché indica sia le soppressioni sia le creazioni di impieghi risultanti dalla chiusura di aziende o se esse abbiano avuto luogo nelle imprese di uno stesso settore.

I settori che registrano numerose chiusure di imprese sono anche quelli che ne creano maggiormente

Nel 2016, il 35,2% di tutti gli impieghi soppressi sono stati persi a seguito di chiusure aziendali. In quindici settori, il numero di posti di lavoro soppressi a seguito di chiusure è stato superiore alla media. Questi settori sono presentati nel grafico 6, con per ciascuno una visione globale degli impieghi soppressi e degli impieghi creati. In nove settori su quindici, non solo le soppressioni di impieghi dovute a chiusura dell’azienda, ma anche le creazioni di impieghi dovute a creazioni di imprese, hanno superato la media. Dodici volte su quindici, ne è risultata una creazione netta di impieghi. In altre parole, l’80% dei settori che hanno registrato numerose soppressioni di impieghi a seguito della chiusura di un’azienda hanno fatto registrare – alla fine dell’anno – un numero di impieghi creati ancora maggiore.

Tra i settori economici con la maggior soppressione di posti di lavoro a seguito di chiusure figurano la farmaceutica, attività legate all’impiego, altre attività specializzate, scientifiche e tecniche, altri servizi nonché il settore informatico. Tutti questi settori economici hanno però registrato creazioni nette di impieghi. Nel 2016, l’informatica e le attività di intermediazione di personale sono stati i settori in cui sono stati creati più posti nell’economia privata.

La creazione di impieghi da parte di nuove imprese è stata particolarmente grande nelle altre attività specializzate, scientifiche e tecniche, consulenza aziendale, altri servizi, attività immobiliari e le attività legate ai servizi finanziari e assicurativi.

Grafico 6

Settori con la maggior soppressione di impieghi, a seguito della chiusura di imprese

Contro ogni aspettativa, i settori in cui avviene la maggior parte delle chiusure di imprese, sono quelli che creano la maggior parte dei posti di lavoro. Come spiegarlo? La dinamica importante sul mercato del lavoro è il frutto di una ridistribuzione costante del lavoro e del capitale. Le imprese combinano questi due fattori di produzione nella maniera più ottimale possibile. I progressi tecnici e metodologici, piccoli e grandi, fanno in modo che la combinazione ottimale del lavoro e del capitale si modifichi in permanenza. Per questo, le strutture esistenti devono essere dissociate in modo da riorganizzare l’utilizzo dei fattori di produzione. Questo processo porta il nome di distruzione creatrice poiché è accompagnato da un aumento della produttività. Il guadagno di produttività genera a sua volta dei redditi supplementari. Se questi redditi supplementari aumentano gli investimenti, gli impieghi creati sono per finire più numerosi. La dinamica delle entrate e delle uscite dal mercato e quindi la ridistribuzione del lavoro hanno un’incidenza positiva sull’impiego complessivo di un settore.

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Un mercato del lavoro molto dinamico

«Migliaia di impieghi in pericolo», «Il maggior taglio di posti di lavoro in quindici anni in Argovia: scompaiono 1300 posti», «Schindler taglia 120 impieghi», «Sulzer risparmia e si sta riducendo in Svizzera» o «CS licenzia più del previsto»: sono questi alcuni dei 296 titoli di notizie apparsi sulla stampa che abbiamo analizzato. Ogni giorno, leggiamo simili frasi nei giornali. È dunque normale essere preda di un sentimento di preoccupazione circa la salute dell’economia e la sicurezza del nostro impiego. Queste notizie, anche se non ci riguardano da vicino, devono effettivamente preoccupare? O si tratta di un fenomeno naturale sul mercato del lavoro? Quanti impieghi vengono creati e soppressi ogni giorno in Svizzera?

Ogni giorno, vengono soppressi e creati oltre 1000 impieghi

In Svizzera, nel 2016, sono stati soppressi - da imprese esistenti o a seguito di chiusure di imprese – in totale 438'085 impieghi. Questo corrisponde in media a 36'507 impieghi al mese o a 1217 impieghi al giorno. Di tutti questi impieghi soppressi, 154'211 (35%) sono stati persi a seguito di una chiusura aziendale.

Queste soppressioni sono da mettere a confronto con i 479'007 impieghi creati nelle imprese in crescita o presso nuove imprese. Questo corrisponde ad una creazione media di 39'917 impieghi al mese o di 1331 impieghi al giorno. Di tutti questi impieghi creati, 156'762 (33%) sono stati creati in nuove imprese.

In totale, nel 2016 si sono registrati, al netto delle chiusure, quasi 41'000 creazioni di impieghi, ciò che corrisponde ad oltre 100 nuovi impieghi al giorno. La crescita dell’impiego paragonata con l’anno precedente è stata del 25%. Tuttavia, rispetto al 2015, sia le creazioni che le soppressioni di impieghi sono state meno numerose. La dinamica delle soppressioni di impieghi è però rallentata molto più fortemente di quella delle creazioni di impieghi. Nel 2016, sono stati creati circa 13'000 impieghi in meno, e circa 22'000 impieghi in meno sono stati soppressi.

In confronto all’anno precedente, l’economia privata ha contribuito per una quota maggiore alla creazione di impieghi. A seguito del franco forte e delle relative incertezze, solo il 5% di tutti gli impieghi che erano stati creati nel 2015 erano da attribuire all’economia privata. Nel 2016, questa quota ha raggiunto quasi il 50%.

Grafico 7

Creazioni e soppressioni di impieghi nel 2015 e 2016

L’analisi mostra che le soppressioni e le creazioni di impieghi sono entrambe evolute in maniera molto dinamica. Il numero degli impieghi soppressi e di quelli creati in un anno corrisponde all’incirca al 10% del numero totale degli impieghi. In media, oltre 1000 impieghi sono stati soppressi ogni giorno, ma il numero di impieghi creati è stato maggiore. Queste cifre sottovalutano comunque la dinamica del mercato del lavoro. Per due ragioni, dapprima, esse si basano unicamente sulle variazioni di effettivi da un anno all’altro. Di conseguenza, esse non considerano né delle forme d’occupazione inferiori ad un anno, né ristrutturazioni di posti all’interno delle imprese, poiché queste ristrutturazioni non hanno effetto sul saldo dell’impiego. Come ha potuto dimostrare la letteratura scientifica, la dinamica effettiva dovrebbe essere superiore di circa il 50% alle cifre che abbiamo ottenuto con la metodologia applicata.

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Conclusioni

Le cifre sono chiare. In Svizzera non si osserva nessuna riduzione dell’impiego. Tuttavia, si costata nel contempo che la paura della disoccupazione aumenta. La questione a sapere se il lavoro stia diminuendo o scomparendo viene spesso sollevata, in particolare nel contesto del dibattito sulla digitalizzazione. La percezione della disoccupazione è anche influenzata dalle notizie dei media. Nel 2016, sono stati creati oltre 40'000 impieghi supplementari sul mercato del lavoro svizzero. Tuttavia, gli articoli dei giornali sulle soppressioni di impieghi sono stati il triplo di quelli relativi alla creazione di impieghi. Le chiusure di imprese e le ristrutturazioni danno spesso luogo a licenziamenti di ampia portata. I media parlano più spesso delle ondate di licenziamenti che delle creazioni di impieghi che, per la maggior parte, hanno luogo discretamente e progressivamente. I licenziamenti in gran numero offrono dunque un’immagine distorta della situazione attuale molto favorevole sul mercato del lavoro svizzero.

Il dinamismo importante in atto sul mercato del lavoro è il risultato di una ridistribuzione permanente del lavoro e del capitale. Le imprese combinano questi due fattori di produzione nella maniera più ottimale possibile. Contro ogni aspettativa, i settori in cui numerose imprese chiudono sono anche quelli che creano maggiormente nuovi impieghi. Ne risulta generalmente una creazione netta di impieghi. Le chiusure di imprese e le ristrutturazioni sulle quali si focalizza il pubblico non possono dunque essere interpretate come dei segnali d’allarme, ma piuttosto come uno dei segnali del dinamismo del mercato del lavoro e dei cambiamenti strutturali. Ogni anno, circa il 10% di tutti gli impieghi scompaiono e nel contempo vengono creati un po’ più del 10% di nuovi impieghi in Svizzera.

Se le nuove tecnologie trasformano alcuni settori o professioni, esse comportano anche degli importanti incrementi di produttività. Anche se la parte di ogni attore economico alla ricchezza diminuisce, la ricchezza stessa aumenta. L’invenzione del computer (PC) ha a poco a poco sostituito la macchina da scrivere negli anni ’80; in altri settori, per contro, essa si è tradotta in considerevoli guadagni di produttività. Grazie all’informatica, le banche possono ora trattare le domande di credito molto più rapidamente, le segretarie redigere ed inviare lettere in tempi più brevi e gli ingegneri svolgere i loro calcoli più velocemente e più precisamente mediante software adeguati. Questi incrementi di produttività si sono tradotti in un aumento dei salari, in una diminuzione del tempo di lavoro e/o anche in una diminuzioni dei prezzi. I redditi supplementari hanno fatto crescere la domanda di beni e, in particolare, di servizi supplementari. Per rispondere a questa domanda, si è dovuto lavorare di più, ciò che ha creato nuovi posti di lavoro. Grazie al dinamismo del mercato del lavoro in Svizzera, gli adattamenti strutturali derivanti dal progresso tecnologico non avvengono in maniera brutale, bensì nell’ambito di un processo continuo.

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