
Digitalizzazione: sfide e opportunità per la scuola
A colpo d'occhio
Ogni evoluzione economica porta con sé una trasformazione del contesto nel quale essa si inserisce e la digitalizzazione non sfugge alla regola. Essa rivoluziona il mondo del lavoro in modo permanente, a maggior ragione in un paese altamente sviluppato e interconnesso come la Svizzera. Anche il sistema educativo deve adeguarsi a tali cambiamenti. Il presente dossier esplora le possibilità della digitalizzazione nel mondo della scuola. Esso mette in evidenza gli ambiti in cui il suo utilizzo è pertinente, ma anche altre competenze irrinunciabili per andare incontro al futuro nell’era digitale.
L’essenziale in breve
Il cambiamento è un elemento imprescindibile dello sviluppo economico e anche in futuro continuerà ad essere così. La digitalizzazione offre numerose opportunità, a maggior ragione per un paese altamente sviluppato come la Svizzera, che dopo aver beneficiato della globalizzazione può affermarsi anche come leader nella digitalizzazione. La qualità del sistema educativo è una condizione essenziale per avere successo. La digitalizzazione comporterà cambiamenti radicali nel nostro stile di vita esistenziale e professionale. Se l’evoluzione digitale offre nuove opportunità nell’ambito della formazione, essa pone anche la scuola di fronte a grandi sfide. Serve una rivoluzione del sistema educativo per preparare i nostri bambini e ragazzi al futuro? Su questo punto s’impone una certa prudenza: oggi non sappiamo ancora quali mestieri saranno particolarmente richiesti nel mercato del lavoro del futuro. Come deve porsi la scuola nei confronti della digitalizzazione, dal momento che non ha ancora una risposta certa a tal proposito? Il presente dossier illustra l’approccio ideale con cui la scuola, a nostro avviso, dovrebbe affrontare la digitalizzazione: quali competenze fondamentali devono essere potenziate e come è possibile far entrare giudiziosamente nelle aule il mondo digitale? Quali sono le conseguenze della digitalizzazione sul sistema svizzero della formazione?
Posizione di economiesuisse
- Con il suo sistema duale di formazione professionale e un tasso elevato di diplomati del grado secondario II, la Svizzera dispone di validi strumenti. Essa ha tuttavia bisogno di un numero maggiore di diplomati nei settori MINT, in altre parole in matematica, informatica, scienze naturali e tecnica.
- L’importanza delle competenze nelle materie MINT, in particolare la matematica, la logica e la capacità di astrazione, acquisiscono un ruolo sempre più rilevante in quasi tutti i settori professionali. La curiosità per queste tematiche deve essere stimolata sin dai primi gradi di istruzione.
- Le conoscenze specifiche diventano ben presto obsolete. Per questo è ancora più importante consolidare soprattutto le materie di base, ossia la matematica e la lingua d’insegnamento, poiché esse sono essenziali per acquisire nuove competenze professionali e costituiscono l’indispensabile fondamento di una vita indipendente e responsabile.
- È essenziale che le formazioni diano accesso a un mestiere o continuino a farlo. Tuttavia, il settore d’attività a cui si riferiscono non deve essere definito in maniera troppo restrittiva. Devono inoltre garantire l’adattamento delle competenze alle esigenze del mercato del lavoro in continua evoluzione. Questo vale sia per gli apprendistati che per i cicli di studio bachelor delle università.
- Al termine della scuola dell’obbligo, ogni studente deve disporre di conoscenze di base nel settore della programmazione e del pensiero computazionale, con cui saper tradurre una determinata situazione in un modello astratto, e quindi raffigurarla mediante algoritmi e dati. Il «Piano di studio 21» deve essere applicato integralmente.
- Le aule scolastiche non dovrebbero diventare virtuali, ma le nuove opportunità offerte dalla tecnologia offrono un potenziale senza precedenti per realizzare un insegnamento personalizzato.

Qualifiche richieste nel futuro mercato del lavoro
Prepararsi all’ignoto
La costante più importante dello sviluppo economico dopo la rivoluzione industriale è il cambiamento. Le aziende crescono e si riducono, vengono create o falliscono oppure vengono rilevate dalla concorrenza. Negli ultimi 150 anni sono emersi interi settori e altrettanti sono scomparsi. Tuttavia, il tasso di disoccupazione in Svizzera è rimasto basso, mentre il numero degli impieghi come pure il benessere hanno registrato una forte progressione. L'era della digitalizzazione e della globalizzazione si iscrive nella continuità di questa storia: nuove aziende appaiono sul mercato, mentre altre perdono la loro ragione di esistere. La sola certezza che abbiamo è che in futuro sarà tutto diverso. Proprio per questo motivo non dobbiamo lasciarci intimorire dal futuro. Anche la quarta rivoluzione industriale offre straordinarie opportunità, soprattutto per l’economia svizzera.
Tuttavia, è difficile pronosticare quali attività saranno richieste in futuro, quali profili professionali emergeranno e quali scompariranno o quali settori cresceranno e quali si ridurranno. Si presume che il 65% dei bambini che iniziano oggi la scuola elementare, lavoreranno in posti di lavoro e funzioni che attualmente ancora non esistono. (World Economic Forum 2016, pagina 32) L’esattezza di questo pronostico è secondaria. Determinante, invece, è che noi possiamo sostenere con un alto grado di probabilità che i profili professionali stanno costantemente cambiando. A questo aspetto si lega il fatto che le competenze specifiche diventano sempre più rapidamente obsolete e che quindi la necessità di una formazione continua guadagna continuamente importanza.
Questa costatazione ha un impatto importante sull'educazione e la formazione. Infatti, occorre preparare i bambini e i giovani a un futuro ignoto. Alcuni ritengono – e non sono pochi – che il voler trasmettere delle conoscenze agli allievi sia un’idea superata. L’argomentazione principale è che se non sappiamo ciò che dobbiamo aspettarci dal domani, non abbiamo bisogno di imparare delle conoscenze specialistiche. È importante imparare, quindi, solo dove la conoscenza può essere usata in caso di necessità. Tuttavia, questa conclusione è falsa e pericolosa per due aspetti: in primo luogo, ogni persona ha bisogno di avere conoscenze di base, e questo per essere in grado di classificare le informazioni con cui deve confrontarsi. Infatti, solo il confronto con il quadro reale permette alla persona di decidere se si tratta di un'informazione credibile, comprensibile e pertinente, o meno. In secondo luogo, la conoscenza di domani non nasce dal nulla, ma si sviluppa dalla conoscenza di oggi. Chi vuole raggiungere nuove vette, ha bisogno di un’ampia e stabile base.
Di seguito, esamineremo brevemente la questione in merito a quale tipo di qualifiche saranno richieste in futuro. Da ciò trarremo alcune conclusioni generali per la scuola.
La digitalizzazione in breve
Nel mondo digitale, gli oggetti fisici, gli eventi o le informazioni provenienti da supporti analogici sono rappresentati da cifre. Queste informazioni analogiche sono convertite in valori esatti di 0 e 1. I dati saranno generati, elaborati, archiviati e trasmessi. Il vero potenziale della digitalizzazione risiede quindi nelle opportunità che mette a disposizione grazie agli sviluppi degli ultimi decenni. Al centro si trovano quattro aree di applicazione: collegamento, automazione, virtualizzazione e realizzazione.
Collegamento: grazie all'infrastruttura digitale, molti settori dell'economia possono essere collegati in rete tra di loro, coerentemente e in tempo reale. Queste reti possono formarsi non solo tra le macchine, ma anche tra gli uomini e tra gli uomini e le macchine. Ne consegue che le reti create gettano le fondamenta per i social network, per l’“Internet degli oggetti” o per le interazioni uomo-macchina nel funzionamento dei dispositivi digitali.
Automazione: i robot e i veicoli a guida autonoma sono gli esempi principali per quanto riguarda l’automazione di vari processi. Grazie all’intelligente combinazione delle tecnologie classiche con l’intelligenza artificiale, si creano macchine e sistemi operativi che lavorano in maniera autonoma. Questi ultimi aumentano l'efficienza grazie a una maggiore produttività, affidabilità e qualità, riducendo al contempo i costi.
Virtualizzazione: le realtà aumentate o artificiali sono parte della virtualizzazione. Esse aprono nuove possibilità di comunicazione, navigazione o esperienze. La «Realtà aumentata» può anche aiutare ad apprendere nuove attività o a usare la realtà come spazio per i giochi. Con la “Realtà virtuale” saranno creati nuovi mondi, i quali potranno essere usati per il settore dell'intrattenimento, ma anche per le presentazioni di prodotti o le simulazioni.
Realizzazione: Potranno essere realizzate nuove offerte. La disponibilità di computer con potenti software o le tecnologie di produzione come le moderne stampanti 3D consentono lo sviluppo di servizi o la produzione di nuovi prodotti in piccole dimensioni, distaccati dall'infrastruttura dei grandi fornitori.
Grafico 1

La Banca Mondiale mostra dei risultati empirici simili, utilizzando però una metodologia leggermente diversa. Weltbank (2016): Digital Dividends. World Development Report 2016
Anche qui si dimostra come nella maggior parte dei paesi, in particolare tra il 1995 e il 2012, il numero di impieghi semi-qualificati con una forte componente ripetitiva, sia diminuito drasticamente. Al contrario, il numero di posti di lavoro altamente qualificati è aumentato in modo significativo, soprattutto in Svizzera. Ma a differenza di molti altri paesi, il numero di impieghi poco qualificati in Svizzera è aumentato a malapena.
Grafico 2

Le attività ripetitive minacciate dall'automazione
Per meglio comprendere la situazione, è utile interessarsi ai cambiamenti avvenuti negli ultimi anni sul mercato del lavoro. Quali livelli di formazione sono stati i più richiesti e quali quelli meno? L'OCSE ha realizzato uno studio interessante che mostra il cambiamento del tasso di occupazione tra il 2002 e il 2014 negli Stati Uniti, nell'Unione europea e in Giappone. Sorprendentemente e contrariamente alle previsioni, la quota degli impieghi occupati da persone poco qualificate ha avuto piuttosto tendenza ad aumentare nel corso degli ultimi anni. E, al contrario, numerosi impieghi che richiedono un livello di formazione intermedio ma con una componente ripetitiva sono stati soppressi. Tra i vincitori, quindi, non si contano solo persone altamente qualificate, ma anche tutte quelle aventi una formazione media che però non svolgono attività ripetitive.
Grafico 3

Secondo l’inchiesta del World Economic Forum (2016), le esigenze relative alle categorie di competenze non dovrebbero cambiare fondamentalmente almeno entro il 2020 (vedere Tabella 1). In numerose attività, l’attitudine a risolvere dei problemi complessi dovrebbe restare una competenza essenziale, seguita dalle competenze sociali, che occupano la seconda posizione. Il pensiero critico e orientato sui processi («process skills»), nonché la capacità di valutare e decidere («system skills») sono pure ben posizionate. Se l’importanza delle competenze tecniche diminuisse, le competenze cognitive come il pensiero matematico o la creatività sarebbero sempre più richieste. Non sorprende invece che il ruolo delle attitudini fisiche continui a perdere terreno.
Tabella 1

Grande importanza delle competenze trasversali «soft skills»
Dallo studio del WEF rappresentato nella tabella 1 emerge uno spunto interessante: le competenze sociali hanno un ruolo determinante, sia oggi che in vista del futuro. Questo conferma in un certo senso la ricerca di Heckman / Kautz (2012) , che hanno dimostrato scientificamente la notevole importanza delle cosiddette «soft skills» per il successo professionale. C’è da aspettarsi dunque che le «soft skills» (come le competenze sociali) continuino ad avere un ruolo decisivo, rivelandosi spesso più significative delle «hard skills» (capacità cognitive e tecniche). Per numerose attività professionali è difficilissimo portare a termine il lavoro in modo soddisfacente se non si dispone di sufficienti «soft skills». Inoltre, proprio le attività che richiedono un alto grado di «soft skills» (trattative, compiti dirigenziali, assistenza o insegnamento) difficilmente potranno essere automatizzate. In fatto di «soft skills», l’essere umano è superiore alle macchine digitali. In più, tali competenze, rispetto alle conoscenze specifiche, non diventano obsolete, o lo diventano molto più lentamente.
La riduzione delle attività ripetitive e le notevoli trasformazioni economiche implicano un continuo innalzamento dei requisiti richiesti alla forza lavoro. Già negli ultimi decenni, poi, si è delineata la tendenza che ha visto sempre più persone cambiare diversi mestieri nel corso della vita, lavorare per diversi datori di lavoro o svolgere la loro professione in modo autonomo. Ciò richiede ai lavoratori una notevole capacità di adattamento. Di conseguenza, cresce anche la necessità di acquisire conoscenze e capacità sempre nuove nel corso degli anni.
Alla luce di tali riflessioni, è possibile concludere che per il successo professionale delle generazioni future saranno decisive le seguenti componenti:
Disporre di competenze MINT. Queste competenze, in particolare la matematica, la logica e la capacità di astrazione, sono indispensabili in numerosi impieghi e la loro importanza è in netta progressione in numerose professioni e attività;
Poter contare sulle «soft skills» che avranno un ruolo sempre più rilevante;
Essere aperti alla mobilità e alla flessibilità professionale;
Dimostrare perseveranza e aver acquisito l’idea di apprendere per tutta la vita.

Quali sono le conseguenze della digitalizzazione sulla formazione?
Beat Döbeli Honegger (2017) parte dal presupposto che la digitalizzazione comporti un’evoluzione dei mezzi di informazione paragonabile all’invenzione della stampa. Perciò, allo stesso modo, anche la digitalizzazione avrà un impatto significativo sulla formazione.
Grazie al suo sistema di formazione duale fortemente orientato alla formazione professionale, la Svizzera è ben equipaggiata per far fronte agli imprevedibili cambiamenti citati in precedenza.
I percorsi di formazione degli apprendisti si adattano in modo piuttosto rapido alle condizioni variabili del mercato del lavoro.
Il contatto precoce con il mondo del lavoro consente a molti giovani di rendersi presto indipendenti e di sviluppare notevoli competenze operative, personali e sociali.
Gli apprendisti acquisiscono conoscenze specifiche e mirate. Allo stesso tempo, si rendono conto in prima persona di quanto cambi rapidamente la realtà professionale del loro settore.
L’offerta di percorsi di aggiornamento è diversificata, di alta qualità e pensata per rispondere alle esigenze dell’economia.
Tutti i cicli di studio consentono collegamenti ad altri percorsi, per evitare a chi intraprende una strada di trovarsi in un vicolo cieco.
La Svizzera dispone di una forte densità di università competitive a livello internazionale e le formazioni universitarie sono generalmente di grande qualità.
Nonostante le sue indiscusse qualità, il sistema svizzero di formazione richiede alcuni adattamenti:
Le formazioni professionali iniziali devono dare accesso a una professione senza tuttavia creare profili definiti in modo troppo netto. Devono garantire un collegamento alle esigenze del mercato del lavoro in continua evoluzione. Gli apprendistati e le figure professionali definiti in maniera troppo restrittiva devono essere verificati in tal senso ed eventualmente rivisti.
Anche a livello universitario, almeno i cicli di studio bachelor devono avere un orientamento piuttosto generale e trasmettere le basi fondamentali dei singoli indirizzi di studio. La fase di specializzazione deve avvenire in un secondo momento, con un master o ancor meglio attraverso percorsi di formazione continua dopo gli studi.
È necessario un numero maggiore di posti di apprendistato e di studenti in ambito informatico.
Le scuole devono adeguarsi costantemente al contesto, in continua evoluzione, il che presuppone una gestione professionale, che coinvolgendo e promuovendo l’impegno dei docenti favorisca un’opportuna crescita qualitativa nel mondo scolastico. A tal proposito, la formazione e la selezione dei docenti, oltre alla loro motivazione, sono di fondamentale importanza.

Qual è l’impatto della digitalizzazione sulla scuola?
Per analizzare gli effetti della digitalizzazione sulla scuola è necessario distinguere tre assi principali: innanzitutto le conseguenze sulla didattica e l’impiego di unità didattiche digitali, ad esempio sotto forma di corsi online; in secondo luogo, la modifica dei contenuti dei programmi di insegnamento e, infine, l’impatto pedagogico. Si pongono dunque questioni come: quale ruolo deve assumere ora la digitalizzazione nel campo dell’istruzione? Quali competenze fondamentali devono essere rafforzate e come è possibile portare il mondo digitale nelle aule in modo efficace?
La digitalizzazione modifica i programmi di insegnamento della scuola dell’obbligo?
Ma la questione decisiva è quali competenze deve trasmettere la scuola. La digitalizzazione obbliga a ridefinire i contenuti dei programmi di insegnamento? È corretto richiedere che si inizi a fare programmazione informatica già dalla scuola primaria? Davvero ogni alunno deve diventare un informatico o un programmatore?
A partire da tali riflessioni e a fronte delle rapide trasformazioni economiche, è opportuno tenere conto degli spunti seguenti in merito alla scuola dell’obbligo:
- Proprio perché non sappiamo con esattezza quali conoscenze specifiche saranno richieste in futuro, la scuola deve innanzitutto garantire l’apprendimento delle basi fondamentali. È pertanto indispensabile concentrarsi sulla lingua d’insegnamento e la matematica. Nessuna altra materia o nozione giustifica il fatto di mettere in secondo piano competenze come queste, essenziali per proseguire il percorso di apprendimento. In particolare per la matematica, ma anche per la lingua, si dovrebbe ricorrere a un insegnamento personalizzato supportato dall’utilizzo di software.
- Programmazione per tutti. Certo, non è necessario che finita la scuola siano tutti informatici. Tuttavia non vi è quasi nessun lavoro che possa fare a meno dell’informatica ed è opportuno che tutti ne comprendano i principi di base. Per questo, la scuola deve trasmettere le conoscenze informatiche fondamentali. Il «Piano di studio 21», ovvero il piano di studi unitario per la Svizzera tedesca, prevede che si inizi a imparare la programmazione già dalla scuola dell’obbligo. È altrettanto importante che gli alunni imparino a tradurre una determinata situazione in un modello astratto, per rappresentarlo quindi mediante algoritmi e dati («pensiero computazionale»). Tale capacità è decisiva per comprendere il funzionamento dei computer e dei processi digitali. È essenziale che i ragazzi apprendano tutto questo divertendosi e procedendo per gradi. Il modo migliore per imparare un linguaggio di programmazione è risolvere autonomamente i problemi, anziché riproporre soluzioni preconfezionate. In questo modo i singoli ragazzi sono motivati ad approfondire le proprie competenze e magari ad entrare a far parte di un gruppo di robotica. Il «Piano di studio 21» deve essere applicato con coerenza.
- Stando in acqua si impara a nuotare. Le applicazioni di uso quotidiano, come l’utilizzo dei programmi di Office, non devono essere insegnate durante le lezioni. Il loro apprendimento deve essere contestualizzato all’interno di compiti come scrivere un testo, illustrare una presentazione alla classe o analizzare dei dati. I nostri ragazzi non hanno dovuto frequentare un corso per imparare a usare lo smartphone. L’informatica deve essere trattata come una competenza trasversale, che può essere acquisita e sfruttata nell’ambito di varie materie.
- Per avvalersi in modo mirato degli strumenti digitali durante le lezioni gli insegnanti devono cambiare il loro modo di pensare. Non devono e non possono sapere sempre più degli studenti su qualsiasi argomento, perché se i ragazzi si divertono e si appassionano all’uso dell’informatica anche nel tempo libero, ben presto possono arrivare a conoscere aspetti informatici e a saper programmare persino meglio dei loro docenti. Questi ultimi, devono supportare tali progressi individuali e impiegarli in modo efficace durante le lezioni.
- Aprire le porte della scuola! Un insegnante non deve provvedere da solo a tutti gli obiettivi del piano di studi. È fondamentale che i docenti siano motivati a insegnare l’informatica, ma se diventa una costrizione è controproducente. Devono divertirsi nel farlo. Se non è così si può anche pensare di aprire le porte della scuola a parenti o conoscenti di insegnanti e alunni, che possano offrire delle unità didattiche di informatica in collaborazione con i docenti. E perché non imparare a programmare un logo insieme a un apprendista informatico o organizzare un’unità didattica con una studentessa che fa parte di un team di robotica con l’uso dei lego? In questo modo l’insegnante, motivato dall’entusiasmo degli alunni, potrebbe decidere di aggiornarsi su tali tematiche per potersi poi occupare in prima persona delle lezioni. La scuola pubblica dovrebbe inoltre avere un approccio più aperto nei confronti delle forme di Partenariato pubblico-privato «PPP». Per ottimizzare i tempi di inserimento dell’informatica nella didattica, possono rivelarsi utili delle cooperazioni tra aziende private e scuole.
- Alle facoltà di pedagogia viene chiesto di fornire ai docenti le competenze necessarie in materia di digitalizzazione. E questo non riguarda solo chi studia per diventare insegnante, ma anche chi lo è già e deve aggiornarsi in tema di digitalizzazione.
- Al di là della digitalizzazione: non dimenticare le «soft skills»! Per realizzarsi nella vita, i giovani hanno bisogno di notevoli competenze operative, personali e sociali. Non va dimenticato che a livello sociale e di fronte a questioni inserite in un contesto l’essere umano è superiore ai computer. Perciò un campo di sport sulla neve, un laboratorio teatrale o una settimana musicale con un’esibizione conclusiva sono importanti quanto l’apprendimento di conoscenze specifiche. E durante il campo, ci si può anche disconnettere completamente dal mondo digitale.
Già negli anni della scuola dell’obbligo è necessario far capire ai ragazzi che non si smette mai di imparare. I docenti devono trasmettere agli alunni un approccio positivo nei confronti dei cambiamenti e coltivare la naturale curiosità dei giovani. Questi ultimi devono imparare anche ad apprendere in modo autonomo e a formarsi ulteriormente di propria iniziativa. In tal senso, agli insegnanti in particolare viene chiesto di essere di esempio, dimostrando per primi questa attitudine giorno per giorno.
Insegnamento personalizzato grazie agli strumenti di organizzazione digitali
Negli ultimi anni numerose scuole si sono avvalse dell’uso di piattaforme online, per mettere a disposizione degli studenti tutti gli strumenti didattici in modo centralizzato. Col tempo, le piattaforme sono state sfruttate in modo sempre più intelligente, includendo ad esempio chat che consentono di fare domande sulle lezioni, informazioni organizzative, test online o forum di studio. Vi sono poi classi che ricevono tutte le informazioni direttamente sull’iPad e lo utilizzano in modo piuttosto frequente come strumento di lavoro.
L’utilizzo di strumenti didattici digitali assume un ruolo davvero decisivo nel momento in cui ha un impatto sulla didattica e la pedagogia. La digitalizzazione applicata all’insegnamento ha un potenziale enorme: innanzitutto consente ai docenti di creare un insegnamento completamente personalizzato dal punto di vista organizzativo. Tale personalizzazione è possibile ad esempio grazie alla disponibilità di dati in tempo reale sul comportamento, i progressi e le strategie degli alunni.
È risaputo già da diverso tempo che gli obiettivi di apprendimento annuali della scuola primaria e secondaria sono raggiunti integralmente solo da una piccola parte degli alunni. L’eterogeneità e le diversità in termini di competenze dei ragazzi sono tali da rendere impossibile che il livello di preparazione sia esattamente lo stesso per tutti alla fine dell’anno scolastico. Di conseguenza, sarebbe importante gestire l’insegnamento tenendo conto di tale eterogeneità. In passato non si è riusciti a offrire un insegnamento opportunamente personalizzato, perché ciò implicava un sovraccarico di lavoro eccessivo per i docenti, che dovevano formulare programmi individuali per ogni alunno, quindi monitorarne e documentarne i risultati. Inoltre, era difficile garantire una trasmissione efficace delle informazioni sui diversi livelli di preparazione dei singoli alunni agli insegnanti dei cicli successivi.
Quando parlano di «rivoluzione digitale dell’istruzione», gli studiosi tedeschi Dräger e Müller-Eiselt (2015) si riferiscono alla possibilità di un insegnamento personalizzato: in altre parole, si tratta di un percorso di studio su misura, basato sui propri ritmi di apprendimento e documentato in formato elettronico. In questo modo l’insegnante segue costantemente i progressi di ogni alunno e sa quali sono gli aspetti in cui ha bisogno di aiuto. A tal proposito gli autori citano l’iniziativa della «new classroom» di New York. Per ogni argomento vengono messi a disposizione diversi strumenti di supporto. Al termine dell’unità didattica, il bambino svolge una breve verifica online. Il sistema a quel punto controlla chi deve fare ulteriore esercizio e chi può invece passare all’argomento successivo. Di volta in volta gli insegnanti vedono chi ha difficoltà su determinati aspetti e possono quindi intervenire in modo mirato, ad esempio attraverso esercizi supplementari, una spiegazione o l’aiuto di un compagno. Ma non è necessario andare fino a New York per osservare un insegnamento personalizzato e digitalizzato: la scuola privata per l’apprendimento individuale (Schule für individuelles Lernen – SIL – www.sil-tagesschule.ch) già da alcuni anni impiega un software sviluppato in collaborazione con IBM Svizzera. Tale software favorisce un insegnamento completamente personalizzato, poiché registra e archivia i progressi dei singoli alunni.
Come si potrebbe organizzare concretamente la giornata a scuola? Un insegnamento completamente personalizzato è indicato per tutte le materie? Si potrebbe immaginare la scuola come un luogo in cui ogni bambino possa trovare un posto in cui lavorare e svolgere i propri compiti, ricevendo l’aiuto dell’insegnante in caso di bisogno. Tuttavia, vi sono diverse argomentazioni a sfavore di una scuola di questo genere: innanzitutto i bambini e i ragazzi imparano gli uni dagli altri, e dal gruppo. In secondo luogo, vi sono diverse predisposizioni all’apprendimento, per cui alcuni traggono maggiore profitto dalle lezioni frontali. Inoltre, i bambini inseriti in classi suddivise per età acquisiscono competenze sociali importanti. Se ogni bambino pensasse solo ai propri compiti, tralascerebbe competenze come lo spirito di squadra, la comunicazione, il confronto tra opinioni diverse ecc. Infine, al di là della digitalizzazione, resta fondamentale il contributo personale dell’insegnante, che guida gli alunni attraverso gli argomenti e ne stimola l’interesse.
Ma proviamo a girare la domanda: in quali materie le differenze di prestazione frenano particolarmente i risultati? Analizziamo in profondità due materie: la lingua d’insegnamento e la matematica. Per entrambe le materie, la conoscenza si costruisce anno dopo anno. Per questo alcuni bambini hanno più difficoltà rispetto ad altri quando un argomento viene insegnato in una classe basata sull’età. Le differenze di prestazione in altre materie (come natura/persone/società, ginnastica, attività creative, informatica) invece, possono essere colmate in modo molto più semplice adottando i giusti strumenti pedagogici anche all’interno di una classe basata sull’età. Per quanto riguarda le lingue straniere, siccome in genere partono tutti più o meno da zero, non è necessario dividere le classi in base al grado di prestazione, almeno a livello di scuola primaria.
Un consiglio pratico: in futuro nella scuola pubblica le due materie principali, ossia la matematica e la lingua di insegnamento, dovrebbero essere insegnate in modo personalizzato. In altre parole, per queste materie, gli alunni non dovrebbero essere suddivisi in classi ma in gruppi di apprendimento basati sulle loro competenze. Ad esempio, tra le 8 e le 10 si potrebbe fare lezione agli alunni divisi in gruppi di apprendimento, dopo di che ognuno tornerebbe alla propria classe. In questo modo i ragazzi potrebbero continuare a sviluppare la capacità di trovare e percepire il proprio ruolo all’interno di un gruppo consolidato nel tempo. Un docente, ad esempio, potrebbe seguire una seconda e anche insegnare matematica a un gruppo di apprendimento B, che includa alunni di prima, seconda e terza. Questa impostazione consente di conciliare l’insegnamento personalizzato a lezioni introduttive comuni o lavori di gruppo. Perciò, l’insegnante deve saper combinare in modo efficace l’insegnamento individuale e gli strumenti didattici digitali. Essendo tutto documentato, sarebbe possibile anche passare tra diversi gruppi di apprendimento nel corso di un anno senza che l’alunno venga sradicato dalla sua classe. I docenti in pedagogia specializzata potrebbero seguire proprio i gruppi di apprendimento con bambini che hanno bisogno di un supporto specifico. A differenza del modello delle classi piccole integrate, però, tutti i bambini sarebbero inclusi nei gruppi di apprendimento, e non solo quelli con maggiori difficoltà. Inoltre, va osservato che non tutti i gruppi devono puntare a raggiungere gli stessi obiettivi di apprendimento, altrimenti, ad esempio, i migliori raggiungerebbero in modo piuttosto rapido il livello richiesto dalla scuola primaria, perdendo entusiasmo e stimoli per mancanza di obiettivi. Infine, un insegnamento personalizzato della matematica potrebbe incrementare anche le prestazioni delle ragazze. Secondo alcuni studi, le ragazze non si impegnano fino in fondo durante le lezioni di matematica perché vi percepiscono un’atmosfera troppo competitiva. Grazie all’insegnamento personalizzato non si ritroverebbero più in competizione diretta con gli altri e potrebbero quindi studiare la matematica con maggiore entusiasmo.
Educazione digitale
Quando abbiamo assistito ai primi successi degli strumenti di e-learning e le più prestigiose università hanno iniziato ad offrire cicli di studio completamente online a milioni di persone, qualcuno, in modo troppo affrettato, ha iniziato a parlare del tramonto dell’aula come luogo di istruzione. Ma col tempo tale euforia è svanita. Ben presto ci si è resi conto che, nonostante il grande successo di singoli moduli, la lezione in classe rimane uno strumento irrinunciabile. Sono emersi problemi come le elevate percentuali di abbandono per le facoltà online e scarsi risultati di apprendimento per moduli di e-learning non adeguatamente preparati. In generale si è sottovalutata la correlazione tra buoni risultati di apprendimento sul lungo periodo e l’interazione sociale.
L’impiego di strumenti digitali all’interno della scuola ha comunque preso piede e il potenziale di crescita resta enorme. Il «blended learning», ossia la combinazione di lezioni frontali ed e-learning, promette risultati notevolmente migliori rispetto al solo e-learning. In altre parole, esso prevede di creare lezioni che sfruttino in modo mirato gli strumenti digitali, senza rinunciare all’affiancamento di un docente. È disponibile un’ampia offerta in continuo sviluppo: da singole unità didattiche fino a interi moduli, giochi, progetti di ricerca in rete, modelli di simulazione, esercizi di apprendimento delle lingue, ecc. I progetti didattici possono inoltre utilizzare in modo semplice e mirato tutorial su Youtube, trasmissioni televisive o sequenze cinematografiche.

Conclusioni
Anziché limitarsi semplicemente a imporre un maggiore insegnamento dell’informatica nelle scuole, le presenti riflessioni hanno un’ottica più ampia. Si parte dal presupposto che la digitalizzazione acceleri lo sviluppo economico. Non siamo ancora in grado di prevedere quali saranno le attività e i mestieri che svolgeranno i bambini che oggi frequentano la scuola dell’infanzia.
Se la scuola vuole preparare alla vita deve tenere conto di questo andamento insegnando ai giovani ad affrontare i cambiamenti con positività e stimolando la loro curiosità nei confronti delle innumerevoli possibilità che la vita offre. In tal senso, i docenti devono dare il buon esempio. Le facoltà di pedagogia devono inoltre inserire rapidamente nei percorsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti le più recenti innovazioni, affinché essi sappiano trasferire nella loro attività quotidiana le nuove sfide che la digitalizzazione impone all’insegnamento. In futuro un buon insegnante si distinguerà sempre più per la voglia di imparare cose nuove e di applicarle con passione alla didattica per trasmetterle ai suoi alunni.
Per avere successo nel lavoro e nella società è fondamentale una buona padronanza della lingua di insegnamento e della matematica. Perciò, per queste materie, non si può scendere a compromessi, e per il futuro va previsto un insegnamento personalizzato, preferibilmente dividendo i ragazzi in gruppi di apprendimento che comprendano varie fasce d’età. Questo è possibile grazie alla digitalizzazione, che consente di documentare con facilità i progressi. Tuttavia, le classi suddivise per età non perdono importanza, anzi, sono fondamentali per acquisire le competenze sociali.
La libertà d’azione nonché le competenze individuali e sociali sono oggi determinanti. In altre parole l’autodisciplina, la tenacia, la motivazione, lo spirito di squadra, il pensiero critico, la capacità di giudizio o la creatività sono importanti tanto quanto le conoscenze specifiche, se non di più.
È vero: l’informatica deve essere insegnata nella scuola pubblica. Ogni bambino dovrebbe acquisire le basi della programmazione e del pensiero computazionale. Ma aggiungere un po’ di informatica nell’istruzione scolastica di base non basta per preparare la Svizzera al futuro. È necessario piuttosto che la società affronti in modo positivo gli sviluppi tecnici ed economici. In quest’ottica, la scuola ha un ruolo chiave. Per affermare la Svizzera come leader nella digitalizzazione dobbiamo avere fiducia nel futuro senza ancorarci allo status quo. Questo non vale solo per l’educazione, ma questo approccio è essenziale in questo settore.
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