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La Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati ha proposto, con 9 voti contro 2, di respingere l’iniziativa dell’UDC «contro l’immigrazione di massa». In precedenza, durante la sessione estiva, anche il Consiglio nazionale aveva nettamente respinto questo testo che vuole reintrodurre il sistema dei contingenti.
Sabato il consigliere federale Johann N. Schneider-Ammann sarà a Pechino per ratificare l’accordo di libero scambio con la Cina. Questo accordo riveste grande importanza per i due paesi per tre ragioni: in primo luogo, le imprese svizzere presenti in Cina beneficeranno di un accesso migliore al mercato e di una certezza giuridica maggiore.
In base alle indicazioni fornite dal comitato d’iniziativa di sinistra, l’iniziativa sulle successioni dovrebbe essere depositata la prossima settimana. Essa richiede l’istituzione di un’imposta sulle successioni e le donazioni a livello federale il cui introito dovrebbe servire a garantire l’AVS. Una promessa vana. L’iniziativa causerebbe numerosi effetti collaterali negativi e una costante diminuzione delle imprese famigliari svizzere.
Il dominio, un tempo incontrastato, delle potenze economiche occidentali si sta affievolendo. I rapporti di forza economici saranno oggetto di cambiamenti significativi nel corso dei prossimi anni e decenni. Secondo un recente studio dell’OCSE, la Cina e l’India dovrebbero entro il 2060 – considerata la loro quota del PIL mondiale – diventare più potenti dei 34 Stati membri dell’OCSE, Stati Uniti e Canada inclusi.
Messo sotto pressione, un paese può reagire in vari modi. Esso può cedere e giocare ingenuamente le carte che ha in mano. Oppure può aggrapparsi allo status quo il più possibile. O può fare un passo avanti, in maniera che la pressione si allenti. Ed è proprio questa terza via che la Svizzera ha scelto con l’estenuante contenzioso fiscale che la oppone ai suoi vicini europei. L’imposta liberatoria prevista negli accordi con la Germania, la Gran Bretagna e l’Austria costituisce una soluzione equa e pragmatica per le due parti e pone fine ai conflitti fiscali con partner commerciali importanti.
Cosa pensano gli ambienti economici dei paesi membri dell’UE della via bilaterale tra la Svizzera e l’Unione europea? La questione è pertinente poiché, anche se non tutti, molti accordi bilaterali sono di natura economica. La Commissione europea deve tener conto del punto di vista dell’economia nelle proprie attività.
Si sente regolarmente affermare che in Svizzera esiste una forte ridistribuzione dal «basso verso l’alto» e che la concorrenza fiscale favorisce solo le imprese e le persone con redditi elevati. Le cifre sono molto chiare: in primo luogo, a partire dal 1970 le entrate fiscali a livello federale, cantonale e comunale hanno registrato una crescita nettamente superiore a quella dell’economia. In secondo luogo, le riforme fiscali messe in atto dopo il 1990 hanno ridotto l’onere fiscale di tutte le fasce di reddito.
La Svizzera è un paese aperto orientato soprattutto all’esportazione. Con 26 accordi di libero scambio, 80 convenzioni di doppia imposizione e 120 accordi con l’UE, essa dispone di una solida rete di trattati che permette alle sue imprese di accedere ai mercati esteri offrendo loro la certezza giuridica. Grazie alla nostra democrazia diretta, la popolazione ha la possibilità, se lo desidera, di pronunciarsi su un accordo. E i referendum sono obbligatori sui trattati importanti, ad esempio se si votasse sull’adesione all’UE.
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