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Imposizione minima OCSE: ritiro degli Stati Uniti entro fine anno

24.11.2025

A colpo d'occhio

  • Dall’estate 2025 è chiaro che gli Stati Uniti saranno esentati dall’imposizione minima OCSE; la soluzione definitiva dovrebbe essere disponibile entro la fine dell’anno.
  • Una sospensione dell’imposta minima, al momento, non porterebbe alcun sollievo alle imprese svizzere, ma creerebbe ulteriore incertezza.
  • In un sistema fiscale internazionale che potrebbe diventare sempre più disomogeneo, la Svizzera deve definire la propria posizione. Sono necessarie misure a favore dell’attrattività del Paese.

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Nell'estate del 2025, gli USA e gli altri paesi del G7 hanno concordato che gli Stati Uniti saranno esentati dall'imposta dell'OCSE. La cosiddetta soluzione «side-by-side» (SBS) prevede che le imprese statunitensi continuino a essere soggette esclusivamente al sistema fiscale statunitense, mentre gli altri paesi potranno applicare l'imposizione minima dell'OCSE. Entro la fine di quest'anno è prevista una soluzione definitiva, che dovrà essere approvata dagli organi competenti dell'OCSE. I tempi previsti sono ambiziosi. Ma dato che gli Stati Uniti stanno insistendo per trovare una soluzione, è probabile che la scadenza venga rispettata e che almeno i parametri fondamentali siano definiti. Una sospensione dell'imposta minima, però, non porterebbe attualmente alcun sollievo alle imprese svizzere, ma solo ulteriore incertezza. Finché gli Stati dell'UE applicano l'imposizione minima, una sospensione unilaterale da parte della Svizzera non risolve alcun problema.

Discussioni attuali sulla soluzione SBS 

Rimangono aperte diverse questioni. In primo luogo, non è chiaro se il modello SBS rimarrà una misura speciale esclusivamente per gli Stati Uniti o se altri Paesi potranno richiedere eccezioni analoghe. In secondo luogo, va chiarito se le imprese statunitensi saranno completamente esentate dall’imposta dell’OCSE o se alcuni elementi continueranno ad applicarsi. Come terzo punto, occorre definire la situazione delle imprese straniere con attività negli Stati Uniti: dovranno pagare esclusivamente le imposte statunitensi come le società USA, oppure si applicheranno in parte le imposte dell’OCSE?

Già oggi è certo che la cosiddetta Income Inclusion Rule (IIR) non può più essere applicata alle società statunitensi. La Svizzera ha introdotto questa imposta all’inizio del 2025. Se società statunitensi detengono, tramite entità svizzere, partecipazioni in imprese di Paesi terzi (esclusi gli USA) e questi Stati non applicano l’imposizione minima del 15%, la Svizzera preleva finora la differenza tramite la IIR presso la società statunitense in Svizzera. Questo diritto, in futuro, come avviene per tutti gli altri Paesi con imposizione minima, cesserà di esistere. Eventuali ulteriori modifiche dipenderanno dal modello SBS definitivo.

Gli Stati Uniti sottolineano che i Paesi hanno il diritto di definire autonomamente la propria politica fiscale. Seguendo questa logica, l’imposta integrativa nazionale (QDMTT), introdotta dalla Svizzera nel 2024, potrebbe continuare ad applicarsi anche alle imprese statunitensi. Gli Stati membri dell’OCSE sostengono invece che un’applicazione il più possibile uniforme della QDMTT sia necessaria per garantire condizioni di concorrenza eque (“level playing field”).

Implicazioni per la Svizzera 

In linea di principio, la situazione di partenza rimane invariata: una sospensione unilaterale dell’imposizione minima non porterebbe alcun sollievo alle imprese svizzere interessate, ma genererebbe ulteriore incertezza. Le tassazioni inferiori al 15% continuerebbero ad essere recuperate all’estero, comportando perdite di entrate fiscali per la Svizzera. Dall’introduzione dell’imposizione minima, numerosi cantoni hanno già aumentato la tassazione per le grandi imprese, riducendo così l’importanza fiscale dell’imposta integrativa nazionale.

Rimane fondamentale l’argomento della certezza del diritto: molte imprese svizzere rispettano già le regole dell’imposizione minima e non pagano l’imposta integrativa. Se la Svizzera sospendesse l’imposta minima, queste aziende dovrebbero dimostrare all’estero, con procedure complesse, di rispettarla comunque. È prevedibile che tali dimostrazioni verrebbero messe in discussione, con il rischio di richieste fiscali aggiuntive e lunghe procedure di cooperazione internazionale.

A seconda delle conseguenze dell’uscita degli Stati Uniti, potrebbe però essere necessario che anche la Svizzera riveda la propria posizione. È ancora troppo presto per valutare la portata di tali effetti, ma la situazione va monitorata attentamente. Invece di una “fiscalità più equa”, come inizialmente promesso, l’uscita statunitense e le sue conseguenze potrebbero portare all’effetto opposto: uno sviluppo a danno unilaterale di sedi economicamente competitive come la Svizzera, scenario inaccettabile.

Anche nell’ambito dell’imposizione minima, la Svizzera può adottare misure per rafforzare il proprio posizionamento competitivo. Nella prossima sessione invernale saranno sottoposte a votazione alcune mozioni volte a sviluppare una strategia per il rafforzamento sostenibile del polo economico nazionale e per incentivare gli investimenti. Tra le possibili misure figurano, ad esempio, incentivi fiscali. Su questo fronte, sono attese novità dall’OCSE entro la fine dell’anno.

Nuovo sondaggio sugli effetti amministrativi dell’imposizione minima OCSE

Secondo l’ultima “Pillar Two Compliance Cost Survey” condotta dall’Università di Mannheim e dalla Tax Foundation Europe, gli oneri amministrativi derivanti dall’imposta minima dell’OCSE sono considerevoli. I costi una tantum di implementazione della Pillar Two per le imprese dell’UE ammontano a circa 1,24 miliardi di euro (fino a 1,95 miliardi di euro), mentre i costi annuali sono stimati intorno a 0,52 miliardi di euro (fino a 0,87 miliardi di euro). In questo modo, le aziende europee sopportano la maggior parte dei costi di attuazione a livello mondiale, mentre i Paesi terzi, in particolare gli Stati Uniti, beneficiano indirettamente di un minore onere regolamentare. Inoltre, emerge una disuguaglianza geografica: le imprese situate in Paesi UE ad alta tassazione sono maggiormente gravate, mentre le sedi in Paesi terzi, come gli Stati Uniti o altri Paesi extra-UE, beneficiano di vantaggi competitivi.

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