# 06 / 2018
26.04.2018

Iniziativa per alimenti equi: no a una tutela costosa

L’iniziativa viola accordi internazionali e non giova a nessuno

L'Iniziativa per alimenti equi impone requisiti elevati ai prodotti di importazione. Essa prevede una differenziazione sistematica delle derrate alimentari in merito al metodo di produzione. I requisiti richiesti dall'iniziativa per quanto riguarda i metodi di produzione (rispetto dell'ambiente, delle risorse e degli animali, condizioni di lavoro «eque») non influiscono sulle proprietà e sulle caratteristiche fisiche del prodotto finito. Conformemente alla legislazione dell'OMC in vigore, la discriminazione di un prodotto sulla base di metodi di produzione che non influiscono sulle sue caratteristiche non è permessa. Il Consiglio federale sottolinea che l'iniziativa non è compatibile con gli accordi dell'OMC e dell'UE, nonché con altri accordi di libero scambio.  Il Consiglio federale sottolinea che la Svizzera si esporrebbe a delle azioni giuridiche contro le quali non potrebbe difendersi. Inoltre, in caso di accettazione dell'iniziativa occorrerebbe abrogare il principio del Cassis de Dijon.

L'Iniziativa per alimenti equi chiede che il diritto svizzero prevalga su quello internazionale, rispettivamente che il diritto svizzero venga imposto all'estero. La Svizzera dovrebbe imporre ai suoi partner stranieri i criteri concernenti la protezione dell'ambiente e degli animali, le condizioni di lavoro eque, ecc. Questo comportamento potrebbe essere considerato arrogante da parte di altri paesi e potrebbe rovinare i partenariati lungo la catena di creazione di valore. Altri paesi potrebbero rivoltare la situazione a loro vantaggio: se i partner commerciali dovessero sentirsi discriminati da parte della Svizzera e considerare il suo comportamento un ostacolo al commercio, essi potrebbero porre ulteriori requisiti alle importazioni dalla Svizzera o iniziare a discriminarle. Ciò potrebbe compromettere seriamente le esportazioni svizzere. La Svizzera subirebbe gravi danni non solo dal punto di vista politico, bensì anche da quello economico.

Nell'ambito dei prodotti agricoli, il concetto di commercio equo varia molto a seconda dei punti di vista. Ciò che i promotori dell'iniziativa considerano come «equo» in Svizzera non è necessariamente «equo» per dei produttori nei paesi in via di sviluppo. Essi si oppongono alle prescrizioni concernenti i metodi di produzione nell'agricoltura, siccome queste comportano un grande onere supplementare e costi elevati. Se le prescrizioni non sono state concordate in modo multilaterale, esse portano inoltre a standard differenti nei diversi paesi di esportazione. Ciò rende più difficile il lavoro per i produttori locali nei paesi emergenti e in via di sviluppo.

È discutibile anche l'entità dell'effetto dell'iniziativa sulle condizioni di produzione all'estero e se essa porta vantaggio ai piccoli agricoltori stranieri. Se un piccolo agricoltore straniero non può rispettare i severi requisiti svizzeri o se per lui sono troppo costosi, egli deve rinunciare al mercato svizzero. Rimangono a bocca asciutta in particolare i piccoli agricoltori, mentre quelli che si organizzano aggregandosi possono sopportare meglio l'onere legato al cambiamento di sistema. Nel caso dei grandi produttori non è comunque certo che cambino la loro produzione. Se non dipendono fortemente dal mercato svizzero, essi probabilmente non modificheranno le modalità di produzione. La produzione equa all'estero auspicata dai promotori dell'iniziativa non viene dunque concretizzata.